I racconti di paure sono lo spettro delle fantasie dei bambini e l’esorcismo delle fobie degli adulti. Da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di allontanare le proprie paure, ricostruendole attraverso i racconti, talvolta anche peggiori della realtà, per sondare le emozioni più profonde dell’anima. Carlo Lapucci, docente di filosofia e storia nei licei fiorentini, oggi in pensione, ha scritto diversi libri sulle fiabe. L’ultimo con il titolo “Il libro delle paure”, un testo che raccoglie racconti popolari di diavoli, fate e fantasmi, come spiega il sottotitolo. “Finito il vino dolce e le castagne, i bambini più piccoli andavano a letto e in quel momento - racconta Lapucci - iniziava la veglia delle paure, delle storie nate per mettere addosso i brividi”. Nel libro si alternano storie di misteriosi riti e pozioni magiche, scheletri che appaiono e scompaiono, visite dei morti, streghe che fanno sortilegi, lupi mannari che si trasformano con la luna piena e cattivi malefici.
Perché ha scritto il “Il libro delle paure”?
È il libro delle veglie raccontate ai bambini prima di andare a letto. Racconta di orchi, maghi, fate, animali, diavoli e giganti, che attirano le attenzioni e suscitano le emozioni, non solo dei bambini. Le fiabe non sono raccontate per fare paura, ma per evocare emozioni, che poi, sono il fine ultimo per cui oggi si guarda un film horror o un poliziesco.
Negli anni si è persa la tradizione di raccontare le fiabe?
Non ovunque, ma un po’in Italia. Raccontare le fiabe è tornato di moda ultimamente, soprattutto perché, chi aveva smesso di farlo, si è reso conto che i ragazzi hanno bisogno di questo fantastico mondo. Abbiamo perso alcune delle nostre storie, a dispetto del fatto che il primo libro di fiabe prodotto in Europa, fu proprio italiano, grazie al napoletano Gian Battista Basile, che nel 1500 raccolse molte fiabe nel libro conosciuto come “Pentamerone” o “Lo cunto de li cunti”. Negli anni del Rinascimento alcune fiabe andarono perse, per il ritorno in auge della cultura popolare si dovrà attendere l’unità d’Italia.
Sono più felici i bambini che crescono ascoltando le fiabe?
Se invece di guardare la televisione, sentono accanto la voce di qualcuno che gli vuole bene e che gli racconta una fiaba, senz’altro crescono meglio. Perché non si comunica solo con la voce, ma anche e soprattutto con il tono, le inflessioni, uno sguardo e un gesto. Sono molto importanti soprattutto le fiabe della nostra tradizione, che tramandano il nostro retaggio culturale.
Quanto è importante la componente della paura nelle fiabe?
La vita è una tragedia perché finisce male per tutti. È come se vivessimo in un poliziesco, in altre parole, sappiamo che alla fine c’è un assassino che ci ucciderà. Abbiamo bisogno di evocare questo dramma, e anche quelli meno profondi, quelli che ruotano attorno, ad esempio, alla domanda: ce la farò? E in questa sperimentazione, valida in tutti i campi della vita, abbiamo la necessità di provare paura.
In questo periodo di ricorrenze, festeggiamo la celtica Halloween, perchè la nostra tradizione è andata perduta?
Festeggiare la fine dell’estate è un rito precristiano e universale. Esistono tanti modi diversi di festeggiare, Halloween non è una festa italiana, risale ai valdesi e fu importata negli Stati Uniti e in Canada, da cui noi l’abbiamo ripresa. Se è vero che era una nostra tradizione celebrare l’autunno, quindi la morte, con una cerimonia di allontanamento degli spiriti impuri, è altrettanto vero che negli anni abbiamo perso questa ritualità, oggi importata dall’America e tornata di moda, seguendo usanze diverse.
Quale tema affronterà nel suo prossimo libro?
Sto lavorando a un libro sulle leggende della Toscana. In tutti i Comuni toscani con almeno mille, duemila, anni di storia, ci sono tantissime leggende. Siena è piena di leggende, come ha scritto anche Dante, che non ci credeva, ma le usava per la loro capacità espressiva.
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