In ricordo di Mario Luzi la vivida memoria di una poesia universale

il 23/02/2009 - Redazione

L’anno 2000 vide una raffinata e prestigiosa iniziativa editoriale dell’Azienda di promozione turistica di Siena, che pubblicò un calendario/libro con testi di Mario Luzi e foto di Pepi Merisio dedicati alle terre senesi. I testi luziani scaturirono da una lunga intervista a cura di Carlo Fini e Luigi Oliveto, in cui – come era nello stile del Poeta – il tono colloquiale si alternava, a volte, a quello più "alto" della poesia e della prosa poetica. Ne sortì, dunque, un intersecato e suggestivo racconto di memorie, di paesaggi e di stati d'animo. Una sorta di viaggio che aveva come luogo "destinato" le terre senesi.
Presi direttamente dai taccuini dell’epoca, ecco qui riproposti alcuni stralci di quella intervista.

Come nasce il suo intenso rapporto con le terre senesi, da quali elementi biografici?
Ricordo le prime volte che, da bambino, insieme a mio padre, ho attraversato in treno la Val d’Arbia e la Val d’Orcia. Era un viaggio avventurosissimo. La mia famiglia risiedeva a Castello, vicino Firenze, e da là con il treno partivamo per Siena dove pernottavamo in una locanda del centro. Al mattino successivo, intorno alle quattro e mezzo, dalla stazione di Siena si muoveva verso Amiata per proseguire poi, in pullman alla volta di Samprugnano, il paese d’origine dei miei genitori. Che avventura!, che Far West!
All’epoca ero un bambino molto vivace, ma in quei viaggi la mia vivacità era tutta concentrata sui luoghi. Nel proseguo della mia vita, tante altre volte avrei viaggiato attraverso queste terre cogliendo sempre il mistero di vita e di morte racchiuso in esse.

Quando parla delle terre senese le nomina come "mia stella", "mio luogo", "mia storia". E’ davvero così forte questo aspetto identitario?
A volte mi chiedo se sono mie appropriazioni o sono io, invece, che vengo "riconosciuto" da quella terra. Direi che esiste una reciprocità. Per me, che non avevo una vera sede, è stato come un "ubicarmi" con l’anima in quei luoghi. Del resto quella terra eccita ed alimenta la condizione enigmatica dell'uomo: la rappresenta e la asseconda. Ciascuno di noi ha dentro di sé certe perplessità dense di mistero e lì, in un continuo avvicendarsi di luci e ombre, trovano un "luogo".
In terra di Siena, più che altrove, si avverte l'avvicendarsi continuo di luce e ombra. E questa luce può essere intesa come metafora della condizione umana. Non dico del bene o del male, ma per lo meno del chiaro e dell'oscuro, di quello che è conoscibile e di quello che non lo è.
 
A proposito di Siena, lei ha più volte affermato che la città lo segnò in modo indelebile e che fu determinante per la sua vocazione artistica.
Nel mio giovanile triennio di permanenza in città, l'arte soprattutto moltiplicò l'emozione di essere in Siena, di vivere in Siena, in questa entità così circoscritta eppure così “universa”. Nell’arte senese c’è una forza di sintesi che non ha riscontri. Si passa immediatamente dal dato all'idea formale, con una rapidità senza mediazioni, senza passi intermedi. Questo mi ha molto colpito e credo che sia rimasto in me proprio come un fondamento della forma del linguaggio, dell'applicazione della lingua alla sostanza.

Simone Martini è il suo autore d'elezione; e proprio a lui ha dedicato un poema (immaginando il viaggio di ritorno dell’artista da Avignone a Siena) che non è solo un itinerario nostalgico, ma è anche un viaggio alla riscoperta del mondo, un percorso di purificazione, dove la dimensione artistica e quella religiosa sembrerebbero realizzare un loro equilibrio.
In effetti il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini è un pellegrinaggio mosso dalla nostalgia, dalla necessità di portare a sintesi il rapporto fra l'arte e l'artista, fra ombre e luce, terra e cielo, parola e silenzio, cose dette e indicibili. Lungo il viaggio si susseguono, così, scoperte, rivelazioni di morte e di ricominciamento. Poi, nei pressi di Siena, quando la città appare sul suo trono di luce, il reciproco riconoscimento si scioglie in commozione. Così, ai bordi ultimi di una terra-terrosa sembra risiedere l'estrema esperienza dei sensi che afferrano lo splendore e l'angoscia della realtà. La mente celebra lo stupore che coglie, insieme, la più minima vita nascosta fra le zolle e l'insondabile maestà del cosmo, il doloroso "esserci" dell'esistenza e la vertigine dell'eternità.

 

Anche una volta
uscì dalla sua manica di verde
la via brulla per Siena,
entrò dentro l’estate
e l’Arbia.
Salì a se stesso,
arse
e si distrusse
l’essere
per un attimo,
la vita si pronunciò
e si astenne,
sfolgorò,
dardo di fuoco
infitto nel celeste
e in quello si contenne
per poi scoppiarci dentro
anima e sangue
crocifiggerci rovente
ai bracci del dilemma
eterno di fulgore
e di mortalità. Amen.

Mario Luzi

(da Lasciami, non trattenermi, Garzanti, 2009)

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