“La casa del colonnello”. Alvise Lazzareschi dedica un libro ai cavatori di Colonnata

Siena il 10/03/2017 - Redazione
Un romanzo autobiografico che racconta la storia di un cavatore di Colonnata, figlio e nipote di cavatori, e delle persone che hanno vissuto intorno a lui quel mondo che oggi si è trasformato e non è più quello di una volta. È “La casa del colonnello” (Rizzoli) di Alvise Lazzareschi, una serie di racconti, ognuno con un inizio e una fine, per omaggiare i monti Apuani, i paesi e la gente di questi luoghi, i cavatori. Il volume verrà presentato sabato 11 marzo alle ore 17.00 a Siena, nei locali dell’Auditorium S. Stefano alla Lizza. Parte dei proventi provenienti dalla vendita del libro verrà donata all'associazione ONLUS #vorreiprendereiltreno di Iacopo Melio.
 
Il romanzo – Nessuno aveva raccontato le cave e chi ci lavora in questa maniera. È forse questo uno dei grandi meriti del romanzo “La casa del colonnello”. Nel prologo Alvise racconta la sua vita in un giorno, un giorno di lavoro in cava. Ci sono l’emozione e la tensione della «bancata», c’è la lizzatura, c’è il suono del «mugnone» che avvisava il paese di un incidente sul lavoro con la corsa isterica delle donne per sapere il nome della vittima. E c’è «Valzerlento», il soprannome di un famoso capolizza degli anni ’40, di cui nessuno conosceva il vero nome, chiamato così perché, essendo anche un po’ claudicante, camminava che sembrava danzare, specie dopo aver fatto il giro delle cantine. Tutti i racconti che Lazzareschi riesce a mettere insieme in una trama unica sono affascinanti e lasciano qualcosa dentro. Come il racconto del «cudurzin». È «l’uccellino dalla coda rossa – scrive Alvise – amico dei cavatori, che a differenza degli altri uccelli non si costruisce il nido tra le fronde degli alberi, ma vive tra gli anfratti delle rocce, lassù, nelle vette più alte, e viene verso di noi per portarci un po’ di pace, per proteggerci, sollevare i nostri cuori dalla cappa che li opprime». Nessuno ha mai visto il cudurzin ma tutti sanno che c’è, un po’ come l’Araba Fenice. E non poteva mancare l’amore, con due storie memorabili: quella tra il colonnello, che dà il titolo al romanzo, e una nobile veneziana, che vissero il loro breve ma intenso amore a Colonnata, e quella del giovane Valdemaro, il «filista» della cava, e di Selene, 14 anni, una delle donne che portavano (in testa), dal fondovalle alle cave, i sacchi di iuta pieni della sabbia (rena) che serviva per tagliare il marmo. Bastò uno sguardo per stare insieme tutta la vita. Nell’introduzione di Rizzoli al libro di Alvise Lazzareschi c’è questa definizione del cavatore: «Un cavatore conosce una sola unità di misura. Se ama, ama “a tonnellate”; se odia, detesta, combatte, o fa gli auguri di compleanno, segue lo stesso ordine di grandezza».
 
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