“Opere letterarie etrusche scomparse nei monasteri”. Parla Ciacci del laboratorio di etruscologia

il 19/10/2009 - Redazione

Saina, Camars, Velathri erano i nomi di alcune città dell’Etruria settentrionale in cui tutt’oggi viviamo. Per conoscere gli Etruschi ci siamo dovuti immergere nella storia più remota e forse più segreta, di chi trae le proprie origini dagli antenati di queste terre. Per scoprire un po’ di più queste origini, abbiamo incontrato l’archeologo Andrea Ciacci, direttore del Laboratorio di etruscologia e antichità italiche del dipartimento di archeologia e storia delle arti dell’Università di Siena. Dopo le scoperte degli ultimi anni, Ciacci sostiene che ci sono ancora molti aspetti da conoscere, sui quali pesa “un quadro poco positivo sul piano dei finanziamenti - perché come aggiunge Ciacci - l’applicazione di tecnologie avanzate comporta costi della ricerca elevati e parlare di scoperte importanti ha poco senso se poi non si incentivano politiche di tutela e di valorizzazione”.

Quali sono state le più importanti scoperte che hanno fatto gli archeologi sugli Etruschi?
“Ogni scoperta è importante. E non intendo soltanto quelle legate a scavi archeologici. Esiste anche uno “scavo” metaforico, svolto nei magazzini dei musei, fra i documenti d’archivio, che aggiunge sempre nuovi dati a quelli già noti”.
Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito alla scoperta di numerosi particolari sulla vita degli Etruschi. Come è cambiato il modo di considerare questo popolo?
“Certamente la metà degli anni Ottanta costituì un momento di svolta. Le mostre correlate all’anno degli Etruschi e alcune pubblicazioni di poco antecedenti ne mostrarono un volto nuovo. Intanto non una “nazione” etrusca, ma vari popoli, legati alle singole città stato. Una cultura non statica, ma aperta e dinamica nei confronti delle altre etnie coeve, a partire dai Greci. Gli Etruschi infatti si inseriscono perfettamente in un modello mediterraneo di acculturazione permanente, fatto di uomini e merci, che si sviluppa nei mercati alle porte delle città, dove gli “altri” (Greci e Punici, in particolare) possono erigere i propri templi. Un popolo ancora “parlante” attraverso i documenti che ci ha lasciato.
Gli Etruschi avevano molti insediamenti, da Chiusi a Murlo, ma da dove venivano? E perché si sono stanziati nelle zone che oggi chiamiamo "terre di Siena"?
Il territorio senese costituisce un territorio di estremo interesse. In esso agiscono nel tempo le politiche di diverse città etrusche (Volterra, Arezzo, Chiusi, Roselle, forse anche Orvieto): è in sostanza un territorio di frontiera, di cui è difficile cogliere gli esatti contorni. Il progetto Carta archeologica della Provincia di Siena, portato avanti dall’Area di archeologia medievale del dipartimento di archeologia e storia delle arti, sta evidenziando la quantità di piccoli insediamenti che erano presenti nel suo territorio in età etrusca. Le strategie di colonizzazione da parte di centri emergenti quali Volterra e Chiusi hanno dato origine a questi insediamenti, grazie anche alla presenza di risorse locali.
Che fine hanno fatto gli Etruschi?
Gli Etruschi non hanno fatto una “fine”. Si sono integrati nella società romana, a partire fin dalle prime fasi della colonizzazione (IV secolo a.C.) romana dei territori etruschi. Un lento ma irreversibile processo di integrazione, che ha portato alla scomparsa della lingua in favore del latino: tuttavia ancora nel V secolo d.C. sembrano persistere alcune “istituzioni” tradizionali, gli aruspici. È nei monasteri che si è scientemente attuata la “scomparsa” degli Etruschi: le opere letterarie e di cultura scientifica etrusche, che pure dovevano ancora circolare nei primi secoli del cristianesimo, sono state definitivamente escluse nel processo di omologazione alla nuova religione.

Elisa Manieri

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