"Quella notte che dormii con Fausto Coppi". Parla Idrio Bui gregario del Campionissimo

il 23/03/2009 - Redazione

“Corridori si diventa ma campioni si nasce”. A volte è solo il sacro fuoco della passione a far entrare nell’olimpo degli dei, altre volte è un misto di fortuna, pazienza, sacrificio e modestia. Come nel caso di Idrio Bui, classe 1932, ciclista raffinato del dopoguerra, ieri protagonista sulle montagne di mezza Europa, che oggi corre veloce sulle pagine di un libro “Idrio Bui – un grimpeur per Fausto Coppi” scritto da Fabio Pellegrini (Editrice DonChisciotte). Sempre di corsa, sempre con un unico pensiero in testa: il ciclismo che gli ha salvato la vita e lo ha consegnato per sempre alla storia. Già perché Bui nasce in una famiglia di Sinalunga povera e numerosa e solo la sua passione e la sua grande forza di volontà gli hanno permesso di diventare il gregario di Fausto Coppi, scelto personalmente dal campionissimo italiano. Un libro che vuol essere un amarcord di tanti ricordi ancora densi di colore e vivi nella memoria di Bui ma anche un diario dell’Italia del dopoguerra descritta attraverso le imprese, le vittorie, i litigi di questo piccolo grande uomo che ha conquistato ben 56 vittorie da dilettante e 5 da professionista.

Come ci si sente ad essere protagonisti di un libro e rimanere immortalato per sempre tra le sue pagine?
Mi fa molto piacere sapere che anche le nuove generazioni ora potranno conoscermi. L’idea di scrivere un libro su di me è nata quasi per caso, avevo molto materiale e, insieme a Pellegrini, ho deciso di raccontare la mia storia. Vicende che sono vivide nella mia memoria anche se tutti, vista la mia età, si sorprendono. Ma io penso che sia facile ricordare se le cose sono realmente vissute, sia i fatti belli, sia le vicende più spiacevoli. La cosa più sorprendente è che oggi ricordo ancora bene dove sono le fontanelle sui percorsi di montagna anche se in alcuni luoghi ci sono stato una volta sola, come a Toledo in Spagna dove ho battuto con grande soddisfazione personale un ciclista come Federico Bahamontes, vincitore di 6 Tour de France.
Vicende lontane che, forse, i giovani non conoscono. Questo libro insegnerà molto.
Le nuove generazioni sono fatte così. Fin tanto che uno è un campione, è qualcuno, poi cade nel dimenticatoio. La dimostrazione è che, spesso, quando vado a veder alcune tappe del Giro d’Italia, i giovani non mi fanno passare nelle zone riservate agli addetti ai lavori. Una volta è stato Candido Cannavò, il direttore della Gazzetta dello Sport a intervenire quando, in cima al Pordoi per una tappa del Giro d’Italia, gli organizzatori, non sapendo con che qualifica ero lì, volevano farmi spostare l’auto parcheggiata in un’area riservata. Cannavò, che mi conosceva bene, intervenne e mise tutti a tacere.
Nel libro emerge con forza il suo profondo legame con Fausto Coppi. Un suo ritratto?
Coppi è stato un grande uomo e un grande campione. Nel 1957 dopo il Giro dell’Appennino, mi offrì 40mila lire per fare il suo gregario e in occasione della prima gara insieme, il Giro dell’Emilia, nell’albergo per me non c’era posto, Coppi mi fece dormire con lui nella sua stanza. La mia specialità era la salita e spesso lo aiutavo andando a riprendere gli avversari. Un ricordo non legato al ciclismo, invece, riguarda la sua vita personale. Un giorno, mi chiese di andare da Novi ligure a Milano con lui in bicicletta perché doveva firmare un contratto. Arrivammo a Milano e c’erano i vigili sui viali che ci aspettavano per scortarci. Saremmo dovuti rientrare presto a casa, a quell’epoca Coppi era fidanzato con la Dama Bianca ma facemmo tardi e , quando rientrammo, lei si arrabbiò tantissimo. E allora io gli dissi “Fausto, un campione come te viene scortato dai vigili a Milano e a casa si fa rimproverare in questo modo”.
Ha qualche rimpianto?
Non potevo fare più di quello che ho fatto. Sono sempre stato consapevole dei miei limiti. Tutti mi hanno sempre stimato e le grandi squadre mi chiamavano spesso. La scelta di restare un gregario è stata dettata dalla mia modestia, dalla consapevolezza di venire dalla povertà e di avere una famiglia da accudire. Mi è mancato quel qualcosa in più, così ho deciso di mettermi a disposizioni dei grandi e di correre tranquillo. Dopotutto corridori si diventa ma campioni si nasce.

Susanna Danisi


SOTTOTORCHIO
Autore e libro preferito: Mi piacciono Indro Montanelli e Vittorio Feltri. Non ho un libro preferito, leggo volentieri tutti quelli dedicati al ciclismo.
Ultimo libro letto: “Gli ultimi giorni di Marco Pantani” di Philip Brunel
Libro da consigliare: Tutti i volumi che parlano di sport perché è un insieme di valori, sacrifici e insegnamenti utili per tutti
Leggere è: Ritengo che coloro che amano leggere, ricevono tanto. Per me è il gusto della lentezza, di capire, di analizzare, di studiare le cose e farle mie

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