Album del Venti: la poesia degli estremi interrogativi

Luigi Oliveto

01/04/2021

Mario Laghi Pasini è un ingegnere elettronico prestato alla poesia; e la poesia gliene è grata, corrisponde le sue attenzioni. Si legga in proposito l’ultima raccolta di versi Album del Venti (Giuliano Ladolfi Editore, 2021) per sincerarsi come il poeta – “alla fioca lucerna poetando”, che oggi è la luce azzurrognola di uno “schermo magico / come può esserlo un monitor” – produca testi che posseggono appieno le ‘ragioni della poesia’.

Il titolo della silloge è riferito agli attuali anni Venti, a questo debutto di secolo contrassegnato da molteplici spaesamenti e ricerche di senso. Ma, proprio in ragione di ciò, l’intitolazione potrebbe anche riferirsi a un ‘album dei vènti’, come a voler repertoriare brezze, folate e tempeste che attraversano, giustappunto, il tempo presente nelle sue scompaginate geografie di popoli, anime, pensieri. A complicare un tempo già confuso si è peraltro intromessa una moderna pestilenza (era la primavera del 2020, leggeremo sui libri di storia) tracciando un discrimine tra prima e dopo, e che Laghi Pasini registra fin da ora come il tempo di “Prima del fuoco” e del “Fuoco e oltre”. Non a caso vengono chiamate così le due sezioni in cui è suddiviso il libro e lungo le quali si sviluppa una lucida (spesso accorata) riflessione sulle età e sui comuni destini, fino a dover prendere atto di come “Delle tante primavere questa è la più crudele / i fiori nei prati e gli uccellini nell’aria sembrano dirci / che potrebbero benissimo fare a meno di noi…”.

In una sorta di diario lirico c’è dunque tutto l’affanno di un uomo contemporaneo, e a maggior ragione di chi, come il poeta, percorso un ampio tratto della propria esistenza (“è solo il giorno temibile / del mio ottantesimo compleanno”) avverte tra incanto e disincanto che “il senso delle cose è solo vivere”. E può anche succedere che l’affanno muti, subdolo, in sgomento; che, nel gorgo del pessimismo, si vadano almanaccando distopie e non-luoghi. Quando, cioè, “cerchiamo di convincerci / di un plausibile come / rinunciando per sempre / a un impossibile perché”, e vorremmo che sopra di noi potesse “emergere in immagine / Colui che sempre e ovunque / compare nei pensieri degli uomini / capace di sognare e muovere / – fuori dallo spazio e dal tempo – / il brulichio di quelle piccolissime cose / e finalmente chiudere / il cerchio dell’Amore.”

Tale è il basso continuo che sorregge la partitura di Album del Venti. Come scrive Davide Puccini nella sua puntuale prefazione, ci troviamo “tra pessimismo della ragione e un barlume di speranza nonostante tutto”. Ma non solo. Le pagine di Laghi Pasini, per quanto regimate entro una scrittura nitida e vigile, sottendono quasi sempre il registro elegiaco. Lo ha colto bene Pupi Avati nella nota posta in apertura di libro accennando al testo più esplicitamente pervaso da rimpianto, quello intitolato Ritorni e che evoca i quasimodiani versi “Sotto il capo incrociavo le mie mani / e ricordavo i ritorni…”. Avati evidenzia come “il poeta de I ritorni era entrato in quel tempo che lo prescindeva, facendogli comprendere il senso solo ormai nel dopo”. Ecco – dice ancora il regista la cui poetica sappiamo quanto sia radicata sul senso della memoria individuale e collettiva – “credo che la poesia di Laghi Pasini sia tutta in questo ‘abbandono’, in questa attesa fiduciosa, al suo farsi strumento di ascolto di segnali, ai quali mai si oppone, segnali che accoglie come doni a lui stesso inesplicabili.”

E’ vero. Nella poesia di Laghi Pasini si avverte in sottofondo il continuo limio del ricordo: stagioni, luoghi, “i volti quasi svaniti / i nomi ormai difficili da ricordare”, una strada (reale e metaforica) lasciata alle spalle… “e nello specchietto retrovisore / non sapevo ancora / a cosa stavo dicendo addio.” Ma vi è, non di meno, la razionalità della scienza, la visionarietà della fantascienza, la speculazione filosofica e quanto la letteratura ha indagato sul cuore e la ragione degli uomini.

Ecco, dunque, come il poeta abbia compilato, a suo modo, un libro degli estremi interrogativi, che in questo frangente storico acquistano quanto mai forza drammatica, patema; a volte ricorrono (illusoriamente?) al balsamo della poesia, che è pur sempre una grazia.
 
***
Consuetudini
 
«Due cose sono infinite, l’universo e
la stupidità umana, e non sono ancora
completamente sicuro per quanto riguarda
l’universo»
Albert Einstein
 
Nel rumore dei media che consumano
notizie e drammi
mescolando la cronaca con lo spettacolo
per sopravvivere nella lotta impari
con le difese del nostro cervello
sviluppate in ere di caso e necessità
stamattina notare piuttosto
il tocco leggero dell’autunno
dopo un temporale diverso
dai soliti brevi rovesci d’agosto
che alla fine lasciano lo stesso sole
e il caldo estenuante dell’estate
e che invece ci dice
che anche questa stagione finisce
e presto saranno giornate di nebbie
e cieli settembrini e poi e poi...
 
Tutto appare cambiato
dal tempo dei nonni
quando le notizie giungevano lente
e attutite dalle lontananze
quasi fossero favole
e si lavorava col sole e col tramonto
e il tempo era scandito dalle campane...
Ora io che sono un nativo radiofonico
vivo senza stupore in un telegiornale
aggiornato e replicato di continuo
mentre i più giovani scivolano nelle strade
immersi nei loro piccoli schermi
portati come il breviario di un antico prete
col quale condividono solo l’obbligo
di una continua lettura.
 
Ma la vera consuetudine che ci accomuna
è per autunni inverni e primavere
dove vivere e dimenticare
assopiti da qualche parte
le proprie gioie e i dolori
le speranze e le malinconie
illusoriamente sicuri
che sarà sempre così.
Intere generazioni e popoli
di questa parte del mondo
– forse nemmeno un decimo del totale –
vissuti in settanta anni di pace
e di benessere – chi più e chi meno –
mai esistiti prima nei millenni...
immemori che al tempo dei nonni
le campane piangevano
anche i morti delle guerre
le carestie le pestilenze e le persecuzioni.
 
Per non dire – incredibilmente –
che nelle case non sempre c’erano
l’acqua e la luce elettrica
non ancora il frigorifero e le lavatrici
e le medicine mirabolanti
né c’era l’auto sempre pronta alla porta
il tutto e molto altro trattato
con spreco ed egoismo sulle spalle
dello stesso pianeta di quando
eravamo sette volte di meno
con tutti gli altri che ovviamente
anche loro aspirano...
E se almeno questo bastasse
ché invece siamo amareggiati
di non avere di più
e così il tempo passa fra le promesse
le critiche e le dimenticanze
i ripensamenti e le false notizie
di cui incolparsi a vicenda.
 
Ora i più avvertiti sospettano
che la nostra fortuna stia per finire
e cercano analogie col passato
mentre parecchi credono persino
a perfidi congiurati
che di certo cospirano da qualche parte.
Ma Natura e Mondo sono ciechi
complicati e automatici
ed è solo la nostra stupidità
che ci vede benissimo e ci porta via
e accorgersi che la liscia corrente
è sempre più veloce
e il motore della barca è guasto
e qualcuno ha gettato via i remi
perché – dice – ingombravano...
forse non serve nemmeno più
né – finché possibile – serve
anche stare a pensarci troppo
 
se intanto finisce la focosa estate
che ci ha estenuati
e presto saranno giornate di nebbie
e cieli settembrini e poi e poi...
 
 
[da Album del Venti di Mario Laghi Pasini, Giuliano Ladolfi Editore, 2021]
 
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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