Dentro e fuori

Martina Delpiccolo

07/04/2020

Dentro, mentre fuori la natura vive il suo Rinascimento. Chiusi, mentre ogni pianta e fiore si spalanca senza pudore. Fermi, mentre tutti i fili d’erba si scompigliano per il vento. Soli, mentre fuori i cinguettii vanno accordandosi ai fruscii. La contrapposizione tra il dentro e il fuori è resa ancora più stridula, acida e odiosa dall’irriverente e spudorato esplodere della natura. In questo anno 2020 di confino domestico, la vistosità della primavera pare proprio un bel dispetto. Dentro tutto è fermo. Fuori tutto è vita. E la vita è il motivo del nostro stare chiusi: salvare noi stessi e gli altri, mentre già qualcuno muore. Se solo potessimo ospitare prati, chiome di alberi e pennellate petalose! A casa nostra far accomodare la Primavera! Che sia per questo che amici poeti hanno di lei scritto? Forse a noi, ora, in questo preciso momento, sono destinati in dono i loro versi? Era questo il loro intento? Portare dentro da fuori la stagione dei profumi e della luce? Che funzioni? Proviamo.
 
Sperimentiamo con Saffo la voce e l’odore della primavera tra taciti mormorii d’acqua e stormire di fronde, mescolate a note profumate di rosa e miele misti a incenso, in un tempo assonnato. Ardente di desiderio è la primavera nei versi di Ibico che confessa: «Per me Eros / non riposa in alcuna stagione». È «dolce primavera» quella delle Georgiche di Virgilio. “Primavera” è un senhal ossia nome in cui si cela l’amata di Guido Cavalcanti, gaia come la natura che loda la sua bellezza angelica: «Fresca rosa novella / piacente primavera». E nella Vita Nova, se la Giovanna di Guido è Primavera, la Beatrice di Dante sarà Amore. Eterna è la primavera nel Paradiso terrestre del Purgatorio come simbolo d’innocenza nell’Eden prima del peccato originale. La stagione cantata dal poeta, con continue reminiscenze ovidiane, pare sia finita insieme a paesaggio, figure e personaggi, fin sul pennello del Botticelli. E “sempiterna” è nella cantica del Paradiso: stagione-simbolo di beatitudine e gloria perpetue delle anime beate. Si accende la primavera spiritualizzata di fiori-beati, faville-angeli e fiume-luce: «e vidi lume in forma di rivera / fulvido di fulgore, intra due rive / dipinte di mirabil primavera. / Di tal fiumana uscian faville vive / e d’ogni parte si mettien ne’ fiori / quasi rubin che oro circunscrive; / poi, come inebrïate da li odori, / riprofondavan sé nel miro gurge, / e s’una intrava, un’altra n’usciva fori» (Paradiso, XXX vv. 61-68).
 
L’inaugurazione della primavera di Corrado Govoni va in cerca della nuova stagione, permette alla finestra di guardare la primavera, e altrove fa convivere o forse urtare sentimenti contrastanti in un crepuscolarismo che diviene più intimo: il tripudio della natura affollata e la tomba desolata. Vita che avvolge e consola perfino la morte: «Com’è bello, qui dentro e tutto intorno, / la lunga primavera e il breve giorno! / I rosolacci scarlatti / con le farfalle macchiate / che si posano leggermente / e fuggon via come scottate; / un rosaio fiorito, curvo / sotto il peso di una croce; / le ghirlande secche che pendono / sulla tomba d’un ignoto, / senza più fiori, simili / a cercini inservibili / a cinture di salvataggio / appese in ex-voto» (“Nel cimitero di Corbetta”, L’inaugurazione della primavera).
 
Una rondine basta a fare primavera? Quella di Pierluigi Cappello è uno scherzo della punteggiatura dentro una filastrocca: «La rondine è una virgola / una virgola nel cielo, una stellina singola / che fa fuggire il gelo. / Lei porta il buonumore / delle stagioni nuove / lei porta lo splendore / del mondo che si muove. / La vedi da quaggiù / la segui con il dito / ma lei non c’è già più, / l’incanto è già sparito» (“Rondine”, Ogni goccia balla il tango). Cala la notte anche nei mesi della luce. A volte, per qualcuno, il chiarore permane anche dentro, anche nel buio. Altre volte invece il buio pesa. E allora la stagione della vita per il poeta friulano, in eterna ricerca nei giardini della poesia, diventa tempo che scorre, metrica leggera: «Quanto pesano gli occhiali stasera; / di tante negli ostinati giardini / soltanto una rima: la primavera». (“Primavera”, Azzurro elementare).
 
Grati ai poeti, mentre anche dentro ora tutto sboccia, ci inchiniamo come umili e felici mughetti campanulati. E già andiamo cercando e riscoprendo altri verdi versi che raccontano, come scrisse Emily Dickinson in un aprile che può colorarsi solo all’arrivo di un “tu”, il miracolo in tempo d’attesa: «La primavera ritorna sul mondo».
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Martina Delpiccolo

Martina Delpiccolo è saggista e ricercatrice universitaria.
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