E poi saremo salvi. Una storia di guerra e una saga familiare

Marialuisa Bianchi

19/07/2022

Qualche giorno prima che la nonna morisse, mia madre le aveva chiesto: "Come ti è passata la vita?". "In un attimo. È entrata in un orecchio ed è uscita dall'altro. Così". E aveva soffiato piano, come a spegnere una candela invisibile. Si spengono così tante esistenze, per i motivi più disparati, perché questa è la vita, ma non possiamo accettare lo scempio delle guerre che si ripetono senza sosta e senza risparmiare nulla e nessuno, con ferite che non si rimarginano. Finalista al premio Strega 2022 con “E poi saremo salvi” (Mondadori), Alessandra Carati nel suo romanzo d’esordio si muove partendo dagli eventi luttuosi di una guerra mai frenata. Il conflitto nella ex- Iugoslavia, che ci richiama alla mente il conflitto attuale nell’Ucraina, con le scene di profughi che scappano, vecchi che restano ancorati alle loro case, massacri di popolazione, bambini uccisi e donne violentate, a ricordarci che la storia si ripete e la violenza cieca, purtroppo, resta un elemento da cui gli essere umani non sanno liberarsi.
 
L'Europa intera ha girato la testa, fingendo di non vedere, tappandosi occhi e orecchie di fronte al massacro dei Balcani, dove il popolo più martoriato è stato quello bosniaco, vittima di un vero e proprio genocidio. Quei pullman scassati, che tante volte abbiamo visto in tv, stracarichi di donne e bambini che si cercava allora e si cerca oggi di portare in salvo presso il confine con l'Italia. Mia madre mi aveva detto che non mancava molto, all'alba saremmo arrivati all'ultimo confine. “E poi saremo salvi". Così aveva detto, salvi. La domanda che pervade il libro: le persone che hanno subito l'orrore possano mai dichiararsi per davvero salve. Il racconto è comunque per la maggior parte ambientato nel Nord Italia, nella periferia di Milano dove la famiglia si stabilisce richiamata dal padre e dopo un viaggio atroce e doloroso che li avrebbe portati alla frontiera, teoricamente alla salvezza. L’autrice ha voluto però mettere l’accento sul dopo.
 
Come vivono la nuova situazione persone costrette a scappare che hanno lasciato il cuore nel villaggio d’origine? Non è facile, soprattutto se resti ancorata ai ricordi. Aida la protagonista, all’inizio ha sei anni, cresce fra stranieri, ma cerca di cominciare una nuova vita. La ricostruzione sarà dura e dolorosa. Un nuovo inizio anche a costo di separarsi dai legami d’origine: diventare adulta significa staccarsi non solo dalla terra d’origine, ma anche dalla famiglia. Per crescere deve separarsi, seccare le radici. Infatti sin dall’inizio compare una coppia speculare di volontari italiani a cui la ragazza si legherà fortemente, creandosi una famiglia alternativa. Ma la frattura che ha diviso la sua vita tra un prima e un dopo, resterà e dovrà farci i conti per sempre. È il dramma delle seconde generazioni di immigrati che hanno radici delicate in un mondo che non li ha visti crescere, mentre l'ambiente nel quale sono costretti a vivere è spesso difficile e ostile. Come ogni adolescente Aida vive opponendosi ai genitori che risiedono in Italia come se dovessero ripartire il giorno dopo, concentrati esclusivamente sul mettere da parte più soldi possibile per ricostruire la casa in Bosnia, bruciata dagli invasori.  E provano dolore nel vedere i tentativi di Aida di adeguarsi, vivendolo come un tradimento del loro mondo, quello da cui pure sono fuggiti e che solo loro comprendono a fondo.  
 
Tu non capisci perché non sei mai stato in Bosnia, dice il padre di Aida a un volontario italiano. A Sarajevo su dieci famiglie nove sono miste. Come si fa a separarle? Cosa sono i figli di un serbo e di una bosniaca? (...) Non si può dividere quello che è indivisibile. E questa frase racconta meglio di tante altre l'unicità di una paese dove una chiesa cattolica sorge fra la moschea e la chiesa ortodossa, dove la gente per salutarsi dice mehraba, che tu possa vivere in pace. Come accadeva prima. Ora la Bosnia, non a caso, è diventata uno snodo dell'integralismo musulmano.
 
Nel romanzo si osserva una dimensione epica in linea con la letteratura americana, che l’ha contagiata, in particolare Cormac McCarthy. Ma potremmo risalire anche a Furore di Steinbeck, capostipite di un certo modo di fare letteratura. Infatti “E poi saremo salvi” è una storia di esuli che ha richiesto un approfondito lavoro di ricerca, perché Alessandra Carati non ha origini bosniache. Si è documentata a lungo, ha da molti anni un rapporto stretto con la comunità bosniaca di Milano, dove vive e naturalmente ha studiato tanto la storia dei Balcani prima di calarsi nei panni di Aida. Il risultato è notevole, una storia che andava scritta, che ci propone una riflessione attualissima sulla guerra e le sue conseguenze. Ma anche una trama ben orchestrata, ricca di colpi di scena, di storie parallele, di prospettive diverse, supportata da una scrittura limpida, che arriva diretta.
 
Non manca un pizzico di ironia. Nessuno mi aveva mai detto che sarei andata in Italia, non sapevo niente dell’Italia tranne quello che ci dicevano le donne al villaggio quando combinavamo qualcosa di brutto: “Monellacci che Allah vi mandi in Italia”. Siccome ci eravamo comportanti da delinquenti meritavamo di finire in un posto dove c’erano i delinquenti”. Personaggio importante è anche Ibro, il fratellino di Aida, nella pancia della madre durante la fuga. Nascerà in Italia, vivendo comunque su se stesso questa frattura insanabile. Per superare tanto dolore si rifugerà in un mondo tutto suo. L'ultima parte del romanzo è dedicata a lui, e si sente un peso diverso, forse eccessivo, che determina un po' di squilibrio nella narrazione. Anita proverà ad aiutarlo, ma con grande dolore e sofferenza non potrà far nulla nonostante il suo amore.
 
“E poi saremo salvi” è una storia di guerra, una saga familiare, un romanzo di formazione. Mette in luce la tragedia dei Bosniaci e le angosce che l’esodo determina anche a distanza di anni, dolore che si aggiunge al dolore, ma si apre alla speranza su chi, come Aida, decide di andare avanti perché la vita ha un valore, nonostante tutto e cerca di lasciarsi alle spalle le lacerazioni per guardare al futuro.
 
Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

Vai all' Autore

Libri in Catalogo

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x