Golem. L’essenza profonda del ricordo

Giuseppe Burschtein

07/09/2012

A volte un profumo evoca più di un immagine. Una fragranza particolare, un aroma preciso e la memoria olfattiva riesce ad organizzare emozioni nitide e suggestioni impetuose. Mi è capitato qualche volta a New York o a casa di amici; è accaduto in qualche angolo di Tel Aviv o a Parigi in un mercatino rionale, oppure a Londra, a Salonicco, a Roma oppure a Bruxelles o in mille altri angoli di mondo: lì, in quei posti ho sentito l’odore dell’ebraismo. O almeno ciò che i miei ricordi odorosi associano al mondo ebraico. Credo che molto abbia a che fare con dei ricordi veri e propri: effluvi che nella vita hanno attraversato almeno per un attimo le cellule del naso e sono andate a stamparsi per sempre nel reparto memorie indelebili del cervello. Ma sono anche convinto che questo tipo di reminiscenza aromatica faccia parte del proprio corredo primordiale; come se il nostro Dna fosse capace di trasportare nel tempo i profumi della nostra storia riuscendo a mettere in atto delle rappresentazioni mnemoniche odorose assolutamente inedite. Allora basta cambiare una strada, entrare in un vicolo vicino alla 47esima strada di New York per essere vicino al Cielo. Per sentire il profumo caldo e dolciastro dei bagel appena sfornati consumati con voracità da un ragazzino coi riccioli sulle tempie, o la delizia pizzichina dei semi di papavero che sembrano impolverare le pile di pretzel nelle rosticcerie ebraiche. È il profumo del Divino. Quello che esce dagli usci colorati di Neve Tzedek a Tel Aviv. Melodie alimentari georgiane e ucraine, russe, libanesi, polacche, algerine, lituane. È il grasso d’oca che sfrigola in una padella nera unta e la cipolla bianca affettata a rondelle che si appassisce. È l’odore della cannella, del cedro e del miele dei dolci sefarditi e delle sfoglie mandorlate dello Yemen. Basta una giornata fredda, ovunque, per sentire il profumo zuccherino delle mele messe a gelare nelle soffitte dello Shetl o l’effluvio forte e acido delle aringhe arrotolate. Girare un angolo al Portico d’Ottavia a Roma per inalare l’odore della carta millenaria dei testi sacri, il profumo della disputa religiosa consumata davanti a un lume a olio. Basta un pezzo di pane sfornato per respirare la santità dello Shabbat.

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