“Il viaggio breve” di Paolo Goretti tra Cecina e Siena

Roberto Barzanti

04/01/2013

L’itinerario che Paolo Goretti ripercorre sul filo della memoria (“Il viaggio breve”, Pascal Editrice) è un tragitto tanto breve per chilometri ed estensione geografica quanto denso e significativo per mète raggiunte e mutamenti storico-politici attraversati: dal 1942 al 1946, in appena un quinquennio, il ragazzino non ancora tredicenne degli spensierati e innocenti divertimenti lungo il litorale tirrenico, dalle parti di Cecina, si trasferisce in una città, Siena, dove, non indifferente e neppure pienamente consapevole di quanto gli accade intorno, assiste alla fine della guerra e all’esplosione di gioia popolare per la libertà raggiunta a prezzo di enormi sacrifici.

Colonna sonora - Frammenti di motivi in voga scandiscono con una sobria colonna sonora i capitoli del racconto in prima persona. L’autore ama la musica e gli vien naturale rammentare con canti emblematici e con pochi versi momenti e fratture. Verso l’inizio un gruppo di studenti universitari in camicia nera canta a squarciagola “Marceremo come il Duce vuole / Dove Roma già marciò…”. Giovani in vena di ultime battaglie, temerari e sprezzanti, fanno propria una sfida mortale, in ossequio alla cupa avventura di Salò: “A noi la morte non ci fa paura / ci si fidanza e ci si fa l’amor…”. Nelle ultimissime pagine la zia inorridisce ascoltando una filastrocca euforicamente biascicata in inglese: “When i see you my dear / everything disappears”.

Cambi di scena - Al paesaggio luminoso delle ore trascorse pescando con uno strano attrezzo, ricavato con ingegnosa pazienza cucendo insieme pezzi di riporto – il brevettabile “palenzo”–, seguono scenari drammaticamente segnati da bombardamenti e macerie. In un podere nelle vicinanze della città avviene, nel buio misterioso d’una cantina, la piuttosto traumatizzante iniziazione sessuale. Il ritmo coinvolgente del boogie-woogie sostituirà repentinamente l’ambigua sinuosità del tango. Si chiude un’epoca. Paolo nel suo appassionato percorso a ritroso descrive sensazioni minime, tessere di un mosaico incompiuto che lasciano intravedere un più vasto affresco, tutto da immaginare: “Decisi – dice: ed è la chiave di lettura che suggerisce – di raccontarmi una storia, la mia storia”. Dunque il suo racconto scarta ambizioni epiche e non si affanna a esibire chissà quale esemplarità. È un vagare tra sé e sé, in un seguito non ordinato di episodi, figure, incontri, spazi. Non ha nulla a che vedere con uno di quei “lunghi viaggi” riproposti in chiave politico-culturale tanti più anziani di lui per spiegare o giustificare adesioni e pentimenti, ingenue illusioni e convinzioni acquisite con fatica.

Siena - Chi come Paolo è profondamente attaccato a Siena sarà portato ad aggirarsi con il protagonista in una città da quella odierna tanto diversa: la modesta piscina del Ghighi in Fontebranda era luogo frequentatissimo di svago. Il Campo era un incavo solenne e rustico e solo Fonte Gaia lo impreziosiva come una gemma di mutevoli colori: “La tremula superficie dell’acqua rifletteva sulle sculture la luce delle fiammelle appena accese modificandone i rapporti di ombre e luci che conferivano alle statue un’impercettibile animazione”. Cito questo passaggio, perché dà la misura della voglia di ritrovare con una puntuale adesione descrittiva immagini esatte e profili netti. L’“Amarcord” in salsa aquilina vibra di onestà scientifica, rifiuta una liricheggiante fumosità ed anzi fa del gusto del dettaglio ragione di stile. Talvolta il dettaglio è tanto intimo che per il lettore costituisce una vera scoperta. È il caso della solenne Loggia alta sulla Costa Larga. Si viene a sapere che Alessandro Blasetti l’aveva inserita – riconoscerla! – per appena due/tre secondi nel suo “Palio”, a tutt’oggi il film più autentico e brioso sulla leggendaria festa civica. La Loggia impressiona perché ha il sapore di una citazione, pare tratta tale e quale dal “Buongoverno” di Ambrogio Lorenzetti, parla un linguaggio antico con imperturbabile fierezza. Certi luoghi, consacrati ormai da una ben nota letteratura, fanno da sfondo a gesta eroiche e quotidiane. È il caso della strada del Mandorlo, fuori Porta Tufi, legata per sempre alla visionaria narrativa di Federigo Tozzi e all’affabile memorialistica di Paolo Cesarini. Goretti vi transitava con regolarità assolvendo un rischioso ruolo. Ogni due/tre giorni infatti portava una borsa colma di generi alimentari a persone rifugiate in una casa che dava su quella lontana strada, eludendo con accortezza la sorveglianza dei tedeschi e compiendo, senza valutarne il peso, un atto di quella Resistenza sconosciuta che sovente emerge da scritti privi di qualsiasi intento celebrativo. Le persone amorevolmente soccorse erano ebrei costretti a nascondersi per sfuggire alle persecuzioni.

La guerra - Si vive la grande storia senza averne coscienza. Gli aerei delle temibili incursioni alleate danno addirittura l’estro a giochi mnemonici e la semidistrutta stazione di Mazzoni scatena febbrili ricerche: “Giocavamo a chi riusciva a contare più rapidamente le fortezze volanti in formazione, oppure a riconoscere i veloci aerei da caccia […], ci divertivamo perfino con le pietruzze colorate dei mosaici della stazione distrutta dai bombardamenti e con una miriade di altre impensabili cose, come le multiformi schegge delle bombe che la nostra fervida immaginazione elaborava in fantasiose similitudini”. Qui le memoria sorregge fino ad un certo punto e non ce la fa ad attribuire nomi precisi all’impeto del fantasticare. La guerra entra nella mente dei ragazzi come un oscuro romanzo. Il 3 luglio 1944 ha la luce di un abbagliante, strano risveglio: “Passavano lentamente fra la folla le camionette dei soldati alleati che gettavano caramelle, sigarette, cioccolate e altro”. Su qualche acciaccato camioncino sfilavano gruppi di partigiani col fazzoletto rosso al collo.

Pubblico e privato - Più sottile si fa la prosa allorché Paolo accarezza volti femminili e indugia nel resuscitare atmosfere di tenera seduzione con un garbo che recupera di quegli anni cruciali incanti e tremori. Il privato si fonde con il pubblico: spigliate amicizie tra coetanei e adolescenziali slanci d’amore si susseguono in sequenze che hanno l’eccitante andamento di un’età favolosa. Anche una squallida sala di biliardo viene occupata con orgoglio di conquista e frequentata con adulta fierezza. Domina la fenomenologia del gioco: si tenta ogni mezzo per evadere dalle angustie di mesi avari, restituiti con minuzia documentaria e con nostalgica vena. Ambiguità e ingenuità si mischiano inestricabilmente. Riti nefasti della dittatura e ferite della guerra stanno accanto a dolci ore memorabili, uniche per fascino e leggerezza. Talvolta vengono in mente film come “Jeux interdits” di René Clément (1952), talaltra certi passi della Colette di “Le blé en herbe” (1924).

Viaggio breve - La piana scrittura di Paolo Goretti coinvolge il lettore per la dimessa verità che predilige e per la sottigliezza psicologica che osserva. Il viaggio breve affidato a questo pulito esercizio di memoria – il manoscritto risale al 1979 e non fu concepito per fregola di pubblicare ma ubbidendo ad un’esigenza interiore – meritava di essere edito. Nelle specificità di una singola esperienza testimonia le inquietudini di una generazione, che si formò in anni tragici, lasciandosi bruscamente alle spalle i turbamenti e i sogni dell’adolescenza.

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Roberto Barzanti

Roberto Barzanti
è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema e audiovisivo. Suoi saggi, articoli e recensioni tra l'altro in economia della cultura, il Riformista, L'indice dei libri del mese, Gli argomenti umani, Testimonianze, Gulliver, Il Ponte, rivista quest'ultima della cui direzione è membro. Scrive per Il Corriere Fiorentino.
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