La provocante ironia di Vermes dinanzi ai drammi della storia

Luigi Oliveto

14/11/2019

Il romanzo che rivelò al grande pubblico lo scrittore tedesco Timur Vermes era intitolato “Lui è tornato” (Bompiani, 2013). Ad essere tornato – per una seconda possibilità – era Hitler, nelle sembianze di un ometto che si risveglia ai giorni nostri in un campetto da calcio di Berlino. Adolf ha un po’ di mal di testa, senz’altro dovuto al cianuro e al colpo di pistola che si era sparato. Non ricorda nulla del suo passato, se non i capelli biondi di Eva Braun nella penombra del bunker in cui si erano rifugiati. Insomma, Timur Vermes ama la provocazione, predilige la chiave dell’ironia per raccontare i drammi della storia. Così fa anche nel suo ultimo romanzo “Gli affamati e i sazi” dove il tema del racconto è quello dei flussi migratori provenienti dal Nordafrica. Siamo ancora in Germania, nel futuro prossimo del dopo Merkel. Il governo tedesco, insieme agli altri paesi europei, attua l’irremovibile linea basta migranti. Dunque elargisce belle somme di denaro agli stati africani che utilizzano quei soldi per costruire enormi lager ai margini del Sahara. Là vengono concentrati milioni di persone che fantasticano su come possa essere la vita in Europa e che, pur di arrivarci, sarebbero disposte ad attraversare il deserto a piedi. Tra costoro c’è il giovane Lionel che, insieme ad altri centocinquantamila migranti, potrà sfruttare l’occasione offerta da una televisione tedesca: una sorta di reality condotto dalla presentatrice Nadeche Hackenbusch che seguirà, giorno dopo giorno, la marcia di quei disperati dal Sahara alla Germania. Boom di ascolti in prima serata e grande gettito di introiti pubblicitari, ma più il corteo di migranti si avvicina, più il ministro dell’interno Leubl si trova davanti a una scelta: accoglierli o respingerli? Ecco la provocazione di Vermes per dirci i paradossi in cui viviamo, l’inadeguatezza delle risposte dinanzi a problemi epocali, i destini sempre più interdipendenti di quanti, nel mondo, siano oggi sazi o affamati.
 
***
 
Il migrante si volta e si appoggia di spalle al banco del bar, accanto a Mahmoud. Guarda la strada. È pomeriggio, i bambini più veloci e robusti stano tornando dalla raccolta della legna. La prima volta che il migrante li ha visti nel lager, a mezzogiorno avevano già finito. Ma le strade da percorrere diventano sempre più lunghe se le persone che hanno bisogno di combustibile, legno, rami, letame, qualsiasi cosa, sono milioni. Milioni, e aumentano ogni giorno. Così è facile: nel lager arrivano sempre nuove persone, ma nessuno se ne può andare. Prima il flusso si ridistribuiva ancora, verso il Marocco, la Libia, l’Egitto, oppure tornava indietro verso i paesi di origine. Ma questo succedeva prima. Prima che l’Europa chiudesse progressivamente le frontiere.
Un cane color sabbia si avvicina. Non c’è rimasto molto del cane, in realtà lì c’è solo una specie di cesta rivestita di pelo su quattro zampe, che ansima. L’animale scruta il terreno, osserva con attenzione il bordo della strada. Non annusa niente perché capisce che lì non c’è niente da annusare. Poi si ferma e volta la testa verso i tre uomini al bar. Ha un occhio solo, ma nel lager è più che sufficiente. Nessuno adesca il cane, ma perlomeno nessuno gli tira i sassi. Il cane decide che vale la pena scodinzolare.
Miki fa un gesto stanco. Il cane smette di scodinzolare e prosegue. L’Europa ha pensato di fare una cosa simile con i migranti.
Quando la gente saliva sui barconi, l’Europa ha cercato di chiudere il Mediterraneo. E quando l’Europa si è accorta che non è possibile chiudere un mare intero e sorvegliare una costa tortuosa lunga migliaia di chilometri, allora ha spostato di nuovo il confine sulla terraferma, questa volta però in Africa. Ha pagato l’Egitto, l’Algeria, la Tunisia, il Marocco e un po’ anche i libici, ma un po’ di meno, ovvio. Perché a tutt’oggi nessuno saprebbe a chi darli i soldi, in Libia. Ma agli europei non è bastato. Anche perché i nordafricani hanno imparato la lezione e si sono messi a riflettere ad alta voce su cosa sarebbe successo se non avessero sorvegliato con attenzione quei confini. Lo hanno imparato dai turchi: grazie a loro tutti hanno visto quanto rispetto e attenzione si riceve a far leva sui migranti. Così gli europei hanno messo mano ad altri fondi e tirato la linea successiva a sud del Sahara. Proprio per questo il sogno di Mahmoud di avere un passatore di prima classe non è più divertente. Perché nel frattempo ci sono soltanto passatori di prima classe.
“Vi rivelo il segreto,” dice il migrante senza guardare gli altri due.
Il suo sguardo si muove sul lager, un lager sterminato. Gli è capitato spesso di correre fino al confine. È possibile quando si ha molto tempo. Allora da una parte c’è il nulla, e nel nulla c’è polvere e sabbia e pietre e in mezzo al nulla altro nulla. E dall’altra parte ci sono tende e capanne simili a tende e tende simili a capanne e tende rattoppate e tende bucate e tende abbandonate e tende sovraffollate, e se non si ha niente da fare, allora ci si può chiedere se ci sia un posto più squallido. E se non si riesce a decidere, si va a dormire e si torna lì un paio di giorni più tardi. È possibile tornarci anche il giorno successivo, ma se qualcuno ha ancora un po’ di senno lo evita.
“Vi rivelo il segreto,” ripete il migrante.
“Eh?” Con il bicchiere Miki produce rumori stridenti.
“Dietro le scarpe.”
“C’è un segreto delle scarpe?”
Mahmoud indica muto verso il basso. Miki si sporge sul bancone traballante, il migrante se ne accorge perché la tavola spigolosa gli si conficca scricchiolando sotto le scapole. Poi lo scricchiolio cessa e Miki dice: “Oh! Scarpe nuove!”
Quella dei passatori è stata la bugia più grossa di tutte: dicevano che volevano combatterli. Ma i governi non possono combattere i passatori. È come per le droghe e le puttane e l’alcol: i governi possono influire solo sul prezzo. Ogni poliziotto, ogni nave da guerra che viene impiegata finisce soltanto per aumentare i prezzi ed è proprio quello che è successo: i prezzi sono aumentati e continuano a salire. Ormai sono rimasti in pochi a potersi permettere le loro tariffe, il che in fin dei conti equivale a dire che i passatori adesso devono lavorare meno per più soldi. E non solo questo: non sono più costretti a cedere una parte del denaro perché non devono più farsi aiutare da qualcuno.
Prima, quando la storia con i gommoni funzionava ancora, allora esisteva un mercato enorme, ben organizzato che creava un sacco di lavoro in tutta l’Africa. C’era sempre qualcuno che doveva distribuire le informazioni, comunicare i luoghi di incontro, radunare la clientela per il trasbordo, procurare i giubbotti salvagente. Su una barca del genere, piena di gente, ci sono un sacco di cose da fare, ci vuole uno scafista. E allora anche quello che non aveva il becco di un quattrino poteva guadagnarsi la traversata accettando di fare il timoniere. Tutto sommato era un’onesta possibilità per tutti gli interessati, perché anche l’ultimo degli idioti è capace di manovrare un gommone. Ma adesso?
Adesso non si caricano più ottanta persone su un gommone, ma otto su un aereo ultraleggero. O su un vecchio elicottero. Il pilota è specializzato. È vero che anche l’aereo ultraleggero o l’elicottero hanno bisogno di manutenzione, ma questo è un lavoro per gente esperta. I passatori adesso impiegano solo personale specializzato. E gli aiutanti diventati superflui riempiono i campi di accoglienza.
“Sono arrivato alla conclusione che risparmiare non abbia più senso,” dice il migrante.
“Ti arrendi?” chiede Mahmoud.
“Non sto dicendo questo. Ma dico: risparmiare non ha senso.”
[…]
“E che differenza fanno allora le scarpe nuove?” Miki rimette il bicchiere da birra sullo scaffale. “Tanto non andrai da nessuna parte.”
“Però cammino meglio.”
Tra l’altro è vero. La maggior parte degli abitanti del lager indossa ciabatte da spiaggia oppure pantofole, appena non sono più dei bambini, perché i bambini le scarpe non ce le hanno proprio.
“Come chissà dove dovessi andare.”
“Ma almeno camminare non costa niente.”
Il migrante si interrompe. In realtà lo ha detto solo per ripicca, e tuttavia gli sembra di essere incappato in qualcosa. In un nesso al quale ancora non sa dare un nome.
“Allora?” Mahmoud osserva il migrante speranzoso.
“No, guarda: non posso permettermi un passatore perché non ho abbastanza soldi. Ma ho tempo. Ho un sacco di tempo. Sono qui da un anno e mezzo. Se avessi camminato ogni giorno per dieci chilometri adesso sarei cinquemila chilometri lontano da qui.”
Per la prima volta Mahmoud non ha niente da ribattere. Anche Miki non dice niente.
“Cinquemila chilometri, niente male.” Il migrante adesso pensa mentre parla o viceversa. Non sa neanche lui dove vuole andare a parare, ma ha la sensazione che da qualche parte ci sia un qualche ragionamento utile. “Cinquemila chilometri. Gratis. E avrei ancora i soldi che in genere toccano al passatore.”
“Chiaro, e forse anche qualcosa in più,” brontola Mahmoud. “Di che cosa campi mentre cammini?”
“Giusto, devo mangiare, devo bere. Ma vi siete già fatti due conti di quanto posso mangiare e bere con i miei risparmi?”
“Si dice che a Berlino i prezzi siano proibitivi,” gufa Miki, ma più per curiosità che per fare il guastafeste. Anche lui vuole sapere dove conducono i ragionamenti del migrante. Senza che nessuno glielo chieda, gli mette davanti un’altra birra.
“Ehi!” protesta Mahmoud. “E io?”
“Pensa a qualcosa di bello e poi ne do una anche a te,” lo rabbonisce Miki.
“Insomma, ho qualche soldo di meno ma sono andato avanti di cinquemila chilometri…”
 
[da Gli affamati e i sazi di Timur Vermes, trad. Francesca Gabelli, Bompiani, 2019]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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