Perché leggere i classici. Mito e tragedia, riflessioni ancora valide

Duccio Rossi

21/01/2011

Ciò che è classico, per definizione, è imperituro nel proprio valore. Come poter pensare che i dipinti di Leonardo da Vinci o di Sandro Botticelli possano essere opere d’arte soltanto limitatamente ad un lasso di tempo o ad un’epoca storica? Essi sono meravigliose espressioni pittoriche dal momento in cui sono stati realizzati e lo saranno fino a quando l’uomo sarà tale, con tutte le proprie sensibilità che caratterizzano da sempre la sua così detta natura umana. E lo stesso vale per le opere letterarie, per quei classici greci e latini che continuano a parlarci anche dopo decine di secoli dalla loro stesura. Con il mito i greci hanno spesso cristallizzato le paure più ancestrali che da sempre caratterizzano il genere umano; e con la tragedia, che spesso attingeva dal repertorio mitico, essi davano luogo ad un momento di riflessione collettiva che non ha eguali nella storia. Un momento paideutico (educativo) durante il quale il teatro era riflessione etica e sociale. “Lo storico narra ciò che è avvenuto, il poeta ciò che potrebbe avvenire” dice Aristotele nella sua Poetica. Ed infatti la tragedia è poesia e come tale ci pone davanti a problematiche ancora valide. La Medea di Euripide comprende l’orrore che compie uccidendo i propri figli, eppure dichiara di non riuscire a trattenersi, tanto è l’odio verso Giasone che vorrebbe portarseli via. In Medea è racchiuso tutto il conflitto umano tra razionale ed irrazionale, tutta la malvagità e tutte le passioni mostruose di cui l’uomo è capace, senza dover scomodare la pazzia e le malattie mentali. Quanti casi di cronaca nera oggi richiamano Medea, quanti infanticidi e delitti commessi tra le mura domestiche possiamo leggere nei quotidiani. Medea esiste ancora, anzi, non ha mai cessato di esistere, ed esisterà purtroppo per sempre finché l’uomo sarà tale. Non storielle antiche dunque – i miti e le tragedie –, bensì profonda analisi del genere umano, del suo agire e del suo pensare. E la rappresentazione tragica permetteva all’intera polis (la città greca) di assistere ad una “finzione scenica” che invitava alla riflessione, alla presa di coscienza collettiva del bene e del male, per poter magari costruire una società migliore, più cosciente e consapevole.


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