Scompartimento 6. Lungo la Transiberiana su un treno carico di storie e domande

Marialuisa Bianchi

26/01/2022

È uscito a dicembre il film e torna in libreria, con una veste grafica nuova e una bellissima illustrazione, il romanzo “Scompartimento 6” (Iperborea) con cui Rosa Liksom ha vinto il Premio Finlandia 2011 e il cosiddetto "piccolo Nobel" nel 2020, assegnato dell'Accademia svedese. Il film ha ricevuto invece il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2021 ed è candidato all’Oscar. Una commedia introspettiva, dal sapore apparentemente romantico, molto dura nello scavare le relazioni fra due sconosciuti. Dopo aver visto il film, che consiglio caldamente, mi è venuta voglia di leggere il romanzo omonimo e cercare similitudini e differenze perché un film è pur sempre un’interpretazione.
 
Dunque un viaggio in treno nella Russia post sovietica alla fine degli anni ‘90. Un ritmo lento: non succede niente di particolare se non un paio di incontri che rompono l’apparente monotonia. È la storia di due persone agli antipodi per cultura e idee, ma che hanno bisogno di qualcosa che forse l’altro, per caso, potrebbe dare. Lo si scopre alla fine del viaggio. Vengono da paesi diversi - lui russo, lei islandese - e attraversano la Russia da Mosca a Murmansk (nel gelido nord) costretti a dividere lo scompartimento; lei per vedere i petroglifi, incisioni preistoriche su roccia, lui Ljoha, un operaio molesto e forte bevitore di vodka è diretto verso le miniere del Nord. Entrambi viaggiano per fuggire dal mondo o per tenere avvinte le persone che hanno amato, perché “chi dimentichiamo cessa di esistere”. La donna filma con una telecamera e parla al suo amore a Mosca, Irina, che non è partita, costringendola in qualche modo a questa impossibile convivenza nello scompartimento 6.
 
C’è una facilità nel raccontare qualcosa di molto chiaro con uno stile personalissimo. Una pseudo relazione con un’attenzione ossessiva ai primi piani e ai volti, cercando quei toni di colori che ricordano gli anni ’90. Girato in pellicola, poi trasferito in digitale per mantenere le stesse tonalità che ha solo la pellicola. Il regista, Juho Kuosmanen, dimostra di essere davvero non solo una promessa, ma un giovane maestro. Il rapporto che i due protagonisti stringono è unico. Non è una storia d’amore, né di sesso, un’amicizia in fieri? Lui vuole saltarle addosso, a lei fa schifo, ma nel recitare queste parti tradiscono anche l'opposto, un bisogno di sentimento da una parte di entrambi e una certa fascinazione per chi è totalmente diverso. In nessun posto se non in quello scompartimento, da soli e per fatti loro, queste due persone potrebbero frequentarsi e parlarsi senza disprezzarsi. Due solitudini su un treno carico di storie e domande. La meta non è importante, infatti il finale lo rivela.
 
Passando al libro, la storia è pressoché identica, salvo per il fatto che il romanzo è ambientato nella Russia sovietica degli anni ‘80, quindi rappresenta una testimonianza importante di come si viveva. “Come si beve lì da voi? Sarà come nei paesi baltici, immagino. Gli uomini girano intorno alla bottiglia, le donne intorno a un uomo e i bambini intorno alle donne. È l’alcol che fa girare tutta la masnada. Da noi è il contrario. Siamo noi che facciamo girare la bottiglia, non è lei che fa girare noi”. Il racconto è quello del lungo interminabile viaggio sulla Transiberiana: da Mosca a Ulan Bator. Lui è passato attraverso l’esperienza dei campi di lavoro e della prigione.  Lei continua a ricordare un amore all'università moscovita, finito poi in manicomio, per fuggire dalla guerra in Afghanistan: fingendosi pazzo lo è diventato davvero. Ma soprattutto è il viaggio alla fine di un impero che sembra frantumarsi e ridursi in polvere, e la storia di un popolo rassegnato e ribelle, che vive di nostalgia del passato, proiettandosi in un futuro che non si vede mai, nell’eterno sogno cechoviano “A Mosca! A Mosca!”. Per ribadire che le ragioni della nostra angoscia sono di due tipi: o vogliamo ma non possiamo, o possiamo ma non vogliamo.
 
Il libro è decisamente più duro, la storia e il linguaggio meno edulcorati che nel film, già sono di per sé piuttosto forti per lo spettatore. In entrambi si nota un grande contrasto fra i paesaggi naturali, belli, incontaminati, distese aperte e sconfinate, contro paesaggi urbani, degradati allo stremo.  C’è una particolare attenzione da parte dell’autrice per la descrizione dei cieli. Il linguaggio è duro, portato all’estremo ma anche poetico. Forti contrasti, come forti sono le differenze fra i protagonisti.  E il treno... ancora il treno... “Forse perché nulla esprime meglio il senso di continuo movimento, pur restando fermi nello stesso luogo. Un po' come avviene per le nostre esistenze quando sembrano concentrarsi, fermarsi per via di qualcosa o qualcuno, mentre fuori la vita scorre”.
 
“E così si allontana Mosca nel suo manto invernale, la città blu acciaio riscaldata dal sole della sera. Si allontana Mosca con le sue luci, il suo traffico chiassoso, il girotondo delle sue chiese, un adolescente e una bella donna bruna dal volto semi tumefatto. Si allontanano le rare insegne al neon che brillano contro il cielo nero e accigliato, le stelle di rubino sulle torri del Cremlino, i corpi di cera del buon Lenin e del cattivo Stalin e anche Mitka, si allontanano la Piazza Rossa e il suo mausoleo, le ringhiere di ferro battuto delle scale a chiocciola dei magazzini Gum, l’hotel internazionale Intourist con i suoi bar in valuta straniera e i sinistri addetti ai piani, che occupano di nascosto gli spazi abitabili dei ripostigli, sempre pronti a elemosinare cosmetici occidentali, rasoi elettrici e profumi. Si allontanano Mosca, Irina, la statua di Puškin, gli anelli e le tangenziali, le grandi arterie di Stalin, la Nuova Arbat con le sue sei corsie all’occidentale, la statale per Jaroslavl’ e le file di dacie con le loro decorazioni di legno intagliato; una terra stanca, maltrattata, sfuggente”.
 
Il libro dice in poche parole che non ci sono mai sentimenti semplici e che anche il più insignificante e fuggevole dei contatti, uno che probabilmente non rimarrà impresso a lungo nelle vite dei due coinvolti, può essere una fantastica dimostrazione del bisogno degli esseri umani. “Quando scappi, non pensi tanto alla tua corsa, quanto a ciò da cui stai scappando.” Per dove si scappa? Se non per “un luogo dove perfino i pazzi corrono il rischio di impazzire”. “Le ombre dei vagoni strisciarono sul marciapiede, sulle chiazze di ghiaccio sabbioso con riflessi aranciati, uno yak solitario passò dietro il finestrino, e si allontana l’Unione Sovietica, i distributori automatici di acqua minerale (senza melassa una copeca, con melassa tre copeche), i minibus, le bambine con le trecce in divise scolastiche bianche e nere, una terra sconosciuta, le sue acque calme e i suoi abissi, le città costruite in una notte, i centri amministrativi dei distretti, i villaggi, le paludi, le torbiere, la steppa, la taiga, le distese disabitate, le foreste, le zone devastate, le aree disboscate, le fotografie mal ritoccate dei membri del politburo sulla piazza centrale, i curiosi davanti ai negozi riservati ai compagni di partito, le saune comuni, i grandi magazzini statali, le donne spazzine, gli spalatori, i portieri d’albergo che prendono mazzette, l’ottima vodka, lo spumante secco georgiano e il senso di sicurezza che si prova per le strade sovietiche di notte. Si allontanano i caffè ben forniti, gli slogan a caratteri bianchi su fondo rosso, le code alle biglietterie dei teatri, i bar-gelaterie e i cocktail al succo di frutta, la musica popolare, le discoteche dei locali in valuta straniera e i disordini notturni dei giovani nei sobborghi di prefabbricati che svettano osceni in mezzo a un paesaggio violato […] Si allontana l’Unione Sovietica, una terra stanca, sporca, e il treno s’immerge nella natura, avanza pulsando attraverso un paese sabbioso, deserto. Tutto è in movimento: la neve, l’acqua, l’aria, gli alberi, le nubi, il vento, le città, i villaggi, gli uomini e i pensieri”.
 
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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