Scrittura come missione civile: Giorgio Bassani nello studio di Nezri-Dufour

Serena Bedini

18/06/2018

Oggi sempre di più la figura dell’intellettuale impegnato non va per forza di pari passo con quella dello scrittore di romanzi e racconti. Spesso ci si aspetta che un autore di narrativa debba saper intrattenere attraverso la scrittura di genere (rosa, giallo, thriller, noir, ecc.), a volte ci induca a riflettere, ma raramente pensiamo che possa essere motivato alla sua arte da un fine alto, da un intento profondamente sentito o da trascorsi dolorosi. Il motivo è banale: si è persa l’abitudine ad assimilare la figura dello scrittore con quella dell’intellettuale e dunque tendiamo a restare stupiti se i due ruoli si sovrappongono e si identificano in un’unica immagine.

Così non era per Giorgio Bassani, forse uno degli ultimi grandi scrittori e intellettuali, autore di romanzi, racconti e poesie, la cui opera scaturiva dal desiderio di tenere accesa la memoria sul dramma della Shoah, senza tuttavia restarne fagocitato, ma divenendo lui stesso tramite per permettere a tutti di conoscere e ricordare. Un grande autore, capace di uno stile raffinato eppure non privo di un’intensità emotiva raggiunta attraverso una approfondita indagine introspettiva dei caratteri. Ed è nel saggio di Sophie Nezri-Dufour, Giorgio Bassani: prigioniero del passato e custode della memoria (Franco Cesati Editore), che la sua opera viene analizzata, mettendo «in luce, con straordinaria acribia, la motivazione che guida tutta la produzione letteraria di Bassani, quella, appunto, di non limitarsi ad essere un prigioniero del passato, ma piuttosto un custode della memoria. Proprio questo ruolo emerge dall’accurata investigazione dell’autrice: il ruolo di uno scrittore che sa, in quanto guardiano o custode della memoria, che questo è il suo unico, personale e autentico modo di obbedire al precetto dello Zakhor» (Marco Brunazzi, Prefazione in Giorgio Bassani: prigioniero del passato e custode della memoria, p. 11).

E così ripercorrendo le tappe della vita e scandagliando l’opera letteraria, Sophie Nezri-Dufour ci restituisce la figura di un uomo, proveniente dall’alta borghesia ebraica ferrarese, che a un tratto della sua esistenza – precisamente dal momento dell’istituzione delle leggi razziali del’38 – sente fortissima la necessità di scrivere, per poi decidere, all’indomani della guerra, di utilizzare la scrittura stessa per affermare con forza i propri ideali di giustizia e rendere indimenticabili, attraverso il mestiere di scrivere, gli atti turpi e orribili che si consumarono con ferocia contro gli Ebrei, falcidiando vite e distruggendo completamente un’epoca. Attraverso i racconti, le poesie, i romanzi (come il celebre e bellissimo Il Giardino dei Finzi-Contini), grazie allo studio di Sophie Nezri-Dufour, affiora l’immagine di un autore che ha fatto «della letteratura una missione civile. Come Dante nell’Inferno, Bassani è stato gettato nell’inferno nazista e fascista da cui è tornato “miracolosamente”. E come Dante, è con la scrittura che continuerà a lottare per difendere i suoi ideali di giustizia. In lui, c’è l’idea che il vero poeta è lo scrittore che ha subito un dolore mortale e che torna alla vita, artisticamente, ricco di un messaggio etico che si sente in dovere di consegnare» (Sophie Nezri-Dufour, Prefazione in Giorgio Bassani: prigioniero del passato e custode della memoria, p. 33).
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Serena Bedini

Serena Bedini
È nata a Firenze nel 1978; si è laureata con 110/110 e lode in Filologia Moderna nel 2005 presso l’Università degli Studi di Firenze. È scrittrice, giornalista, docente. Maggiori informazioni su di lei sono reperibili su www.serenabedini.it.

 
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