Splendi come vita. Quando la vita supera la letteratura

Marialuisa Bianchi

28/04/2021

“Splendi come vita” (Edizione Ponte alle Grazie) di Maria Grazia Calandrone, candidato al prossimo Strega e già alla quarta edizione, è un romanzo articolato quasi in versi che sta suscitando interesse, ma anche polemiche. Fa discutere e quindi ero curiosa di farmi un’opinione personale. Come altri titoli candidati nella dozzina dello Strega, anche quello della Calandrone si sofferma a parlare di una relazione madre/figlia. Qui però il rapporto è più complesso perché si tratta di una madre adottiva: una tematica coinvolgente e non di poco conto. Ne parlerò perché la vicenda autobiografica che ha dell’incredibile purtroppo è vera. Quando la vita supera la letteratura, come diceva Pirandello e ci lascia di stucco. Il riferimento è un caso di cronaca del 1963 che suscitò interesse e commozione. Infatti in prima pagina vediamo il ritaglio di un giornale dell’epoca: “La madre la lasciò e poi si uccise. Ora la bambina non è più abbandonata” e si vede la fotografia di una bella donna che tiene per le braccine una bimba aiutandola a muovere i primi passi. Immagine estremamente efficace perché ci fa capire che la nuova madre aiuterà Maria Grazia nel suo percorso di crescita.

Fin qui sembra una bella favola, purtroppo la realtà è più complicata e seguiranno vicende molto dolorose. I momenti di vita narrata sono intervallati da poesie e articoli di giornale che non riguardano solo il suo abbandono, ma anche altri avvenimenti infelici, pagine di vera tragedia. Riporto le parole dell’autrice, molto più efficaci di un riassunto: Splendi come vita è una lettera d'amore alla madre adottiva. È il racconto di una incolpevole caduta nel Disamore, dunque di una cacciata, di un paradiso perduto. Non è la storia di un disamore, ma la storia di una perdita. Chi scrive è una bambina adottata, che ama immensamente la propria madre. Poi c'è una ferita primaria e la madre non crede più all'amore della figlia. Frattura su frattura, equivoco su equivoco, si arriva a una distanza siderale fra le due, a un quotidiano dolore, a un quotidiano rifiuto, fino alla catarsi delle ultime pagine. Chi scrive rivede oggi la madre con gli occhi di una donna adulta, non più solo come la propria madre, ma come una donna a sua volta adulta, con la sua storia e i suoi propri dolori e gioie. Quando si smette di vedere la propria madre esclusivamente come la propria madre, la si può finalmente "vedere" come essere separato, autonomo e, per ciò, tanto più amabile.

Ad ogni modo, fin dalle prime pagine, la lettura mi ha preso risvegliando tuttavia opposti sentimenti: a cominciare dalla scelta di rivolgersi esclusivamente con i termini Madre e Padre sempre con lettera maiuscola per conferire solennità e richiamare l’Archetipo: Sono figlia di Consolazione, bionda Madre elettiva, da me fragorosamente delusa. Non sembrano premesse favorevoli a scagionarsi dalla constatazione d’essere vivi. Bella la figura del padre che somiglia a Gian Maria Volonté, sempre senza cravatta. Con i suoi dischi, rappresenta la colonna sonora dell’infanzia di Maria Grazia, canzoni popolari e canzoni di lotta; la porta al cinema e torna dai suoi numerosi viaggi sempre con bellissimi regali, maracas, colbacchi…

Maria Grazia vive con i genitori che l’hanno adottata sin da piccolissima, amata e accudita. Tuttavia il senso di abbandono e di disamore resteranno per tutta la vita: Il Disamore avvolge i letti dei bambini fra le spire di un pianto non pianto. I bambini non amati non piangono. L’ambientazione è molto accurata. L’odore ferroso dei treni, i tavolinetti di formica, i portapranzo di alluminio: è l’Italia degli anni Settanta, con tanti pregiudizi e difficoltà, compresa la malattia mentale che non veniva accettata e curata nel giusto modo. Le parole scritte dalla madre sono solo una piccola parte di ciò che si intuisce, un mare in tempesta di sensi di colpa e depressione tali da congelare i sentimenti e non lasciare spazio alle emozioni positive. Comunque un percorso di crescita importante per l’autrice che la porterà a una vera trasformazione.

Una scrittura lirica, una narrazione frantumata forse proprio come spezzata è stata quell’infanzia e adolescenza che non le sono appartenute fino in fondo. Un libro attraente e toccante, una lettura interessante e mai scontata che tuttavia non mi convince fino in fondo. Comprendo la difficoltà di trascrivere in forma tradizionale una storia così densa e già di per sé romanzata, per un’autrice che scrive da sempre poesie ed è divulgatrice di poesia, anche in bei programmi su Radio Tre. Vi consiglio di ascoltare una delle interviste che ha rilasciato per l'uscita del libro perché lì la vita vera è più tenace della parole, che a volte risultano sovrabbondanti, e la poesia è invece sinteticità. “Poesia è sempre stata questo: far passare il mare in un imbuto” dice Italo Calvino di Natalia Ginzburg. Ed è da questa sproporzione che nasce la tensione poetica. Qui a mio modesto parere c’è tensione autobiografica, ma non poetica. Lirico senza poesia, talmente inseguita dall’autrice da penalizzare la possibile empatia con la storia. Comunque un libro interessante da leggere e forse rileggere perché può toccare corde nascoste.
 
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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