Sulle tracce di Holmes e Doyle. 4-La tomba di sir Arthur nel paradiso della New Forest

Luca Martinelli

19/11/2013

Le belle sensazioni lasciateci da Portsmouth rendono più facile far digerire a moglie e figlie il programma di questa mattina 2 Agosto che, ancora una volta, prevede un nuova tappa nel segno di Sherlock Holmes. Anzi, per l’esattezza si tratta di una tappa che vuole rendere omaggio al suo creatore, lo scrittore Arthur Conan Doyle. Perché è nella New Forest, il luogo in cui siamo diretti, che si trova la tomba di Doyle. Lo stesso luogo che il dottor Watson, come ho accennato nella precedente puntata, sognava per fuggire alla morsa del caldo soffocante di Londra (vedi il racconto L’avventura della scatola di cartone). In realtà la New Forest, voluta come riserva di caccia da Guglielmo I a partire dal 1079, sa andare ben al di là dall’essere una semplice tappa sherlockiana. Parco naturale dal 2005 è un ambiente meraviglioso e, fin dall’ingresso entro i suoi confini, comincia a ricevere apprezzamenti convinti da parte di tutti. Situato nel sud-est dell’Inghilterra, da Portsmouth si raggiunge con estrema facilità. La località impostata sul navigatore è Minstead, un villaggio minuscolo circondato da pascoli e boschi. E prima ancora di arrivare a destinazione possiamo apprezzare tutto il fascino di questo angolo d’Inghilterra. Qui – anche se non mancano alcune rare zone fortemente antropizzate, come scopriremo più tardi – tutto viaggia al ritmo della natura. I pascoli non sono recintati e gli animali sono liberi di muoversi ovunque: sulle strade di campagna ma anche in quelle dei villaggi e delle cittadine. E difatti, prima ancora di arrivare a Minstead, per due volte troviamo la stretta sede stradale occupata da un gruppo di pony tipici di questa zona, i New Forest Pony, e da un gruppo di mucche. Le poche case di campagna che ci sfilano ai lati conservano gli antichi e affascinanti tetti di paglia. Infine, giungiamo a un piccolo slargo, una sorta di piazzetta da cui si snodano tre strade. Sulla nostra destra un’alta croce al centro di un fazzoletto erboso di un verde brillante ci avverte che siamo nelle vicinanze della chiesa parrocchiale. La chiesa però non si vede da nessuna parte. Parcheggiamo davanti alla costruzione sulla sinistra della croce. All’apparenza sembra un normalissimo cottage di campagna. In realtà è l’emporio del paesino. Entriamo per chiedere informazioni e acquistare delle cartoline.

Piccoli misteri risolti – Non smetterò mai di ripetermi che quella di entrare dentro l’emporio sia stata una scelta azzeccata. Niente di trascendentale, intendiamoci, ma la sosta mi ha risparmiato qualche fatica di troppo. La prima, la più importante, è che grazie a un piccolo opuscolo in vendita al prezzo di una sterlina ho scoperto, finalmente, perché il corpo di Doyle riposa qui, a Minstead, a moltissime miglia di distanza dal giardino di “Windlesham”, a Crowbourough, dove era stato originariamente seppellito all’indomani della sua morte, avvenuta il 7 luglio 1930. Il desiderio fu espresso dalla sua seconda moglie, Jean. Lei, confidò poco prima della morte, voleva essere sepolta nel cimitero della chiesa parrocchiale di Minstead e desiderava che anche il corpo del defunto marito fosse inumato insieme al suo. Jean però morì nel 1940, in piena seconda guerra mondiale, e non fu possibile espletare le pratiche per la riesumazione e il trasferimento della salma di Doyle. Così anche lei fu sepolta a “Windlesham” e le sue volontà furono adempiute solo nel 1955. Ma compreso questo, perché Minstead? Ed ecco che l’opuscolo mi rivela una storia piena di tenerezza. Nel 1925, cinque anni prima della morte, sir Arthur aveva acquistato una casa, chiamata “Bignell Wood”, proprio fuori dai confini della parrocchia di Minstead. La casa diventò un rifugio familiare dove Doyle poteva godere di quel riposo che la residenza di Crowborough, meta continua di visitatori, non gli consentiva. La moglie Jean, insomma, aveva espresso il desiderio di poter godere il loro riposo eterno nel solo luogo in cui avevano trovato momenti di pace quando erano in vita. Un pensiero di una tenerezza incredibile. Commovente. Ma perché Doyle aveva acquistato una casa proprio qui e non in un altro luogo altrettanto lontano dal vivere cittadino? L’opuscolo, ancora una volta, mi viene in soccorso. Nel 1889 Doyle soggiornò ad Emery Down, un piccolo villaggio a circa un miglio da Minstead e assai vicino anche a Lyndhurst, dove Lewis Carroll aveva conosciuto la signora i cui racconti gli ispirarono Alice nel paese delle meraviglie. Durante quel soggiorno scrisse La compagnia bianca, uno dei romanzi storici cui restò legato per tutta la vita. E gran parte della vicenda del romanzo, collocata temporalmente nel 1342, si svolge proprio nella New Forest. L’eroe della storia è di Minstead e la vicenda tocca Castle Malwood, il villaggio di Brockenhurst e quello costiero di Lepe. L’ultima fatica che la sosta all’emporio mi ha risparmiato, infine, è quella di aver ottenuto, dalla voce della gentilissima proprietaria, la spiegazione esatta di come trovare agevolmente la tomba di Doyle nel vicino cimitero.

Una pipa al posto dei fiori – Neanche duecento metri a piedi. Tanto dista dall’emporio il cimitero della chiesa parrocchiale. Ci si arriva percorrendo un sentiero che dalla strada resta nascosto proprio dietro alla croce che aveva attirato la nostra attenzione. Le lapidi attorniano su ogni lato la piccola chiesetta. Spuntano dal prato erboso, punteggiandolo di bianco e grigio in una disposizione solo all’apparenza geometrica. Ad un primo colpo d’occhio sembrano disposte in file regolari e invece la posizione delle lapidi è piuttosto caotica. Molte sono inclinate, come se fossero state installate malamente o come se il terreno avesse improvvisamente ceduto da un lato. Non è il primo cimitero parrocchiale che visitiamo ma questo è di dimensioni più grandi di quelli visti finora. E mentre lo attraverso per raggiungere la tomba di Doyle, situata dalla parte opposta rispetto all’ingresso, medito che sarebbe bello essere sepolto in un cimitero come questo. Perché questi luoghi dedicati alla morte e al culto dei morti, anche sotto le nuvole plumbee e la pioggia come durante la visita a Rye, non mettono mai tristezza. Non trasmettono il senso di gelo e di irreparabile che trasuda dai nostri italici cimiteri. Qui è come se si volesse regalare alle spoglie del morto un immediato ingresso nel paradiso. Sono ancora immerso in questi pensieri quando, d’improvviso, intravedo una croce di pietra bianca ombreggiata dalle fronde di una quercia secolare. Mi avvicino e ho la certezza che quello è il fazzoletto di terra sotto cui riposa Doyle. Ai piedi della croce, infatti, sul sottile bordo sporgente della base arrotondata, noto una pipa rossa e nera. Di chi altri può essere, dunque, quella tomba, se non di sir Arthur Conan Doyle? In fondo lui era un fumatore di pipa. E lui aveva creato il personaggio di Sherlock Holmes, che della pipa fa quasi un’estensione della sua mano. Mi avvicino e l’epitaffio scolpito in rilievo sulla base conferma che sì, questa è la tomba di Doyle. L’epitaffio inizia con due versi di un poema di Robert Louis Stevenson e recita: «Steel true / Blade Straight / Arthur Conan Doyle / Knight / Patriot, physician & man of letters / 22 May 1859 – 7 July 1930 / And his beloved his wife / Jean Conan Doyle / Reunited 27 June 1940» (Acciaio puro / Lama diritta / Arthur Conan Doyle / Cavaliere, Patriota, medico e uomo di lettere / 22 maggio 1859 – 7 luglio 1930 / E la sua adorata moglie / Jean Conan Doyle / Riuniti il 27 giugno 1940). Parole semplici, che riassumono il carattere e la personalità dello scrittore scozzese e che sottolineano che qui è sepolta anche la sua adorata moglie Jean. Una comunione di anime che, almeno in me, suscita una grande tenerezza. Perché di fronte a questa tomba mi rendo conto che gli uomini spesso non trovano le parole adeguate per l’amore. Il rito del matrimonio recita una formula che tutti conoscono: finché morte non vi separi. E invece questa tomba è la dimostrazione che due persone che si amano non possono essere separate nemmeno dalla morte dei loro corpi.

Una quercia immortale – E con questi pensieri in testa che mi appresto a staccarmi da questo luogo. Ma prima di rimettermi in movimento mi soffermo ancora un attimo. Mi domando cosa abbiano pensato e provato i visitatori che, prima di me, si sono soffermati davanti a questa croce senza sfarzi e hanno lasciato in tributo, anziché degli scontati fiori, una pipa, il bossolo di una pallottola e una manciata di penny. Io lascio un pensiero di gratitudine per l’opera letteraria che Doyle ci ha regalato. Per le storie di Sherlock Holmes, soprattutto, che tante passioni, tante curiosità e tante emozioni mi hanno regalato e continuano a regalarmi. E a Doyle rivolgo anche una richiesta sommessa: di non volermene se ho avuto la sfrontatezza di scrivere di Sherlock Holmes, che lui mal sopportava perché troppo ingombrante nella sua vita. E adesso mi avvio davvero verso l’uscita del cimitero. Ma quando volto le spalle per proseguire il viaggio non posso fare a meno di tornare a commuovermi. È colpa di un’immagine che si accende veloce come il lampo di un flash. E quell’immagine è la quercia che vigila sulla croce di Doyle e Jean. Perché nel corso del tempo quest’albero secolare è stato colpito due volte, ma non ucciso, dai fulmini. È un albero immortale. Ed è emozionante pensare che stia ombreggiando le spoglie di uno scrittore immortale e del suo immortale eroe Sherlock Holmes.

 

Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Luca Martinelli

Luca Martinelli

Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.

Vai all' Autore

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x