Si può essere esordienti e felici nel mondo della narrativa italiana, così difficile e pieno di ostacoli? Sara Bilotti vi risponderà senza tentennamenti in modo positivo. Napoletana, passione per la danza e la scrittura, studi di lingue e filologia, un marito e due figli. Per anni ha lasciato le sue parole ben custodite, poi ha deciso, grazie ad una serie di esortazioni, di buttarsi: ha realizzato dodici racconti che la casa editrice Termidoro ha presentato al recente Salone Internazionale del Libro di Torino. Titolo: “Nella carne”.
È sempre interessante capire come una esordiente, o quasi, arriva a pubblicare il proprio libro. Vuol raccontare come è andata?
“È accaduto tutto per caso. Scrivo da sempre, ma sono soprattutto una grande lettrice: quando sei abituato a leggere capolavori, a misurarti con maestri della letteratura, non pensi minimamente a mandare un manoscritto alle case editrici. Ma a volte la vita riserva sorprese incredibili. L'anno scorso, Marco Piva, della redazione di Corpi Freddi, venne a Napoli per incontrare Maurizio de Giovanni, e decidemmo di vederci. Parlammo di letture e di scrittura e Maurizio si incuriosì, mi chiese di leggere qualcosa, disse che avevo talento, ma che avrei dovuto domare la mia ispirazione selvatica, nel rispetto del lettore. Iniziai dunque un lavoro difficile sui miei manoscritti e contemporaneamente cominciai a condividere racconti in rete. Massimo Rainer li notò, e mi mise in contatto con Eva Massari. Lei mi propose invece di costruire una raccolta di racconti. Così nacque l'idea di Nella Carne”.
In una nota biografica leggo: Ho scritto otto romanzi e una ventina di racconti, per poi lasciarli a prendere polvere in libreria. E poi cosa è successo?
“È arrivato Facebook. Ho pubblicato in una nota Senza Voce, uno dei miei racconti. Con mia grande sorpresa, è stato molto amato, molto condiviso. Marilù Oliva lo ha scelto per Thrillermagazine e Thrillerpages lo ha usato per aprire la Maratona del Racconto Condiviso. È stato un momento importantissimo per me. Ho capito che forse avevo una piccola possibilità di comunicare attraverso la scrittura”.
In Italia, al contrario di altri Paesi, gli editori si rifiutano spesso di pubblicare raccolte di racconti. Perché privilegiare questa forma, dunque, e non un romanzo completo?
“Amo i racconti e per fortuna negli ultimi tempi si sta rivalutando questa forma di espressione. Trovo il racconto un esercizio di stile unico, un micromondo in cui l'autore deve necessariamente esprimere con forza il suo talento. Il lettore, se la magia accade, viene catapultato nella trama, porta con sé i personaggi anche dopo averlo finito, diventa protagonista della storia stessa”.
Ancora dalle sue note: ballerina classica per diversi anni e mamma. Insomma, cose che fanno bene all’anima (se si escludono le ballerine psicotiche alla Black Swan e le infanticide); eppure i temi dei suoi racconti sono noir. Cosa la ispira?
“Sono una persona normale che fa una vita semplice; però, a differenza di molti, non ho filtri e maschere. Accetto il lato oscuro che è in ognuno di noi e lo considero la nostra parte più vera. Ne scrivo, senza ipocrisie, e non ho problemi ad ammettere che potrebbe accadere a chiunque di superare la linea sottile che divide la normalità dalla follia. A volte basta pochissimo”.
Quanto la influenza Napoli nella sua creatività?
“Amo la mia città, meravigliosa e difficile, ma non mi influenza nella scrittura. Le mie radici culturali sono poco profonde, ma si allargano fino a terreni lontani”.
C’è un racconto della raccolta a cui è più legata?
“Senza Voce, per il motivo di cui parlavamo prima. E anche perché è nato dagli incontri e dai discorsi fatti con volontari che si occupano di salvare i bambini vittime di abusi e violenze. Da loro ho imparato che bisogna dare voce alle vittime perché esse non ce l'hanno. Sono talmente abituate alla violenza che addirittura non concepiscono altra realtà, non contemplano neanche la possibilità di denunciare l'abuso. Le parole dobbiamo dargliele noi”.
Ed uno che non avrebbe voluto mai scrivere ma è finito dentro ugualmente?
“Non c'è. Ogni storia che racconto parte da una necessità e c'è ben poco di razionale e ponderato nella mia scrittura. Ci sono storie più difficili da raccontare, certo, soprattutto se contengono tanto di sé. Ma se sono venute fuori è giusto che siano condivise, anche se fanno male”.
Da esordiente al Salone Internazionale del Libro di Torino: che tipo di esperienza è stata?
“Meravigliosa. Non ero mai stata al Salone, neanche da lettrice. In occasione del mio esordio si sono conosciute persone abituate a comunicare (e a volersi bene) a distanza, tramite i social network. Un gruppo di lettori appassionati che ruota attorno ai blog letterari. È stato un momento unico, in cui ho pensato che i miei ideali di condivisione della cultura potessero forse smettere di essere utopie irrealizzabili”.
Valerio Cattano
SOTTOTORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
“Dio di illusioni” di Donna Tartt
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Amnesia” di J.C. Grangé
UN LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Mystic River” di Dennis Lehane
LEGGERE È…
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