“Bisogna coltivare i valori di ieri per essere campioni domani”. Intervista a Saverio Battente

il 25/02/2013 - Redazione

La storia dello sport in Italia, vista attraverso la doppia direttrice che riguarda le diverse identità delle singole discipline ed anche una parte dedicata alla saggistica per parlare di una serie di temi caratterizzanti, quali i consumi di massa, il rapporto con i mass media e l’influenza che tutti questi fattori hanno sulla pratica sportiva. Sono questi i temi fondanti di “Sport e società nell’Italia del ‘900”, curato dal professor Saverio Battente, direttore del Corso di aggiornamento professionale in Operatore delle società sportive, partito giovedì alla Facoltà di Scienze Politiche e Internazionali. Un volume nato dalla raccolta degli atti di un convegno, che si è tenuto Università di Siena due anni fa, “Sport e società nell'Italia del '900”, che poi ha dato il titolo al libro stesso.

Professor Battente, quale il valore economico, sociale e culturale allo sport?
«Lo sport indubbiamente è un fenomeno tra i più importanti della società contemporanea. Un fenomeno talmente globalizzante che avvolge qualsiasi aspetto della vita quotidiana. In Italia, poi, rappresenta quelle voci dell’economia che registrano ancora un attivo nonostante la crisi: domanda e offerta lavorativa hanno un trend sempre in crescita. Inoltre c’è un valore sociale profondo perché è un fenomeno che impatta sulla società a più livelli e, naturalmente, ha un ritorno di tipo culturale attraverso il veicolare tutta una serie di valori e si comportamenti. In sostanza, lo sport è un microcosmo che serve per analizzare e comprendere molti aspetti della società contemporanea».
Quali i temi di maggiore influenza?
«Lo sport è un fenomeno mediatico che ha una presa profondissima. Che tende a unificare e abbattere le distanze. Riesce a far parlare la stessa lingua a persone che vengono da mondi e culture profondamente diverse. Lo sport è un momento di scontro (nel momento dell’atto sportivo) ma anche di grande incontro perché diventa una sorta di linguaggio universale che abbatte le barriere. Inoltre riesce a catalizzare su di sé anche grandi risorse a livello economico, basti pensare ai Mondiali di calcio o alle Olimpiadi, eventi di rilevanza planetaria con fattori di sviluppo e di traino della modernizzazione che, dal punto di vista economico, non hanno eguali».
Quanto e come influenza lo sport ha influenzato cultura e comunicazione?
«In Italia ha avuto un impatto decisamene importante. Alla fine ne è nato un modo di comunicare che si è tradotto in un linguaggio giornalistico settoriale, proprio dello sport. Questo mondo si è ritagliato una nicchia che poi rappresenta una tipicità diversa rispetto al linguaggio toutcourt oppure a quello della politica o dell’economia. Un linguaggio capace anche di adattarsi nel corso del tempo dalla carta stampata, passando per rado e tv, arrivando a internet. Con un’originalità sempre marcata per di più. A questo si aggiunga che la politica e l’economia hanno preso a piene mani dal linguaggio dello sport. E questo perché il linguaggio sportivo fa presa su una grandissima platea. Così, riprendendo stereotipi o frasi fatte dello sport, si riesce a fare breccia anche in segmenti di pubblico che. altrimenti, sarebbero difficilmente raggiungibili».
Nell’epoca del marketing sportivo globale, c’è il rischio di perdere quella visione romantica dello sport che è stata un po’ il motore propulsivo per fare breccia sul grande pubblico?
«Lo sport ha beneficiato di grandi attenzioni da parte dell’economia e dei grandi brand che hanno investito facendo arrivare importanti disponibilità economiche. Tutto ciò ha permesso di sviluppare e crescere professionismo. Il “lato oscuro”, se così lo vogliamo definire, è che, spesso, tutto viene mercificato con il rischio di perdere quei valori che devono essere di riferimento per lo sport. Questo si vede anche nei grandi eventi sportivi. Fenomeno da cui difficilmente si potrà rifuggire, però al tempo stesso può permettere un recupero di valori “extra-economici”. Per fare questo occorre lavorare dal basso, un’inversione di tendenza deve avere sempre un ampio respiro. Si parte dall’educazione allo sport per i giovani, al consegnare ai ragazzi che si avvicinano alla pratica sportiva dei valori sani e positivi. Valori di fondo, che dovranno rimanere inalterati anche quando un domani, i più fortunati saranno campioni o fuoriclasse. Qualsiasi sia lo sport praticato. Se un genitore porta il figlio al campo con la speranza di trovare il nuovo Lio Messi, il nuovo Michael Jordan o il Michael Phelps della situazione, è chiaro che attiverà una serie di atteggiamenti che con il senso nobile della disciplina sportiva hanno poco a che fare. È dal basso che si recuperano i valori. Questo però non si traduce, sia chiaro, in una demonizzazione della sponsorizzazione, bensì con il farne un giusto utilizzo».

Andrea Frullanti

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