C’è una giornalista e scrittrice in Italia che ha anticipato di diversi anni le tematiche sull’immigrazione. Ciò che oggi molti scoprono con analisi sociologiche, Maria Pace Ottieri l’aveva già raccontato nel 2003 con “Quando sei nato non puoi più nasconderti”; tre anni dopo Marco Tullio Giordana ne fece un film. L’ultimo romanzo di Maria Pace Ottieri dal titolo “Chiusi dentro” (Nottetempo), parla ancora di popoli lontani, che però si ritrovano per varie vicissitudini in Toscana. Fra lingue che si incrociano, si sviluppa una storia che è anche confronto nel modo di vivere la provincia.
In alcune note si legge che “racconti una Toscana appartata e un po’ bastarda”. Vuol spiegare meglio?
“Chiusi è il paese d’origine della mia famiglia paterna, che possedeva una piccola azienda agricola dove andavamo in estate. Mi sono affezionata a quel posto in modo astratto. Poi per forza di cose è toccato a me occuparmi di quegli affari familiari. In questi anni di solitudine si è creato un amore reciproco con la casa, una specie di amore combinato. E’ un luogo particolare, una abitazione con arredamento di duecento anni fa…insomma mi sono resa conto che spesso nel mio lavoro sono andata all’estero a cercare l’ispirazione per raccontare storie, però utilizzando lo stesso approccio, ho scoperto di riuscire a farlo anche lì. Ho iniziato a confrontarmi con ogni ospite, dai tarli che sono i veri proprietari di casa, ai rumeni che lavorano a Chiusi, fino a giungere allo scrittore iraniano, ospite grazie all’iniziativa della Regione Toscana che offre una casa a chi vive difficoltà politiche nel proprio paese d’origine”.
Nipote di Valentino Bompiani, figlia di Ottiero Ottieri, la scrittura era destinata ad essere parte della sua vita professionale?
“Provengo da una famiglia che si è sempre occupata di libri. A modo mio, ho pensato di farlo in maniera differente”.
Aveva già pubblicato altri due romanzi con Nottetempo. Come nasce e si consolida il rapporto con questa casa editrice?
“Stimo la casa editrice che è riuscita a vincere una scommessa di cui avevamo parlato diverse volte. Non nego il tradimento con altre edizioni, alcuni libri se non hanno visibilità restano tagliati fuori, ed una piccola casa editrice non può permettersi certe azioni che invece sono il quotidiano per i grandi gruppi editoriali”.
Con “Amore nero” vinse il premio Viareggio: quanto conta per uno scrittore partecipare a queste competizioni? E’ condizione obbligatoria per il successo, almeno in Italia?
“Allora avevo 26 anni e fu l’ingresso dalla porta principale nel mondo dell’editoria. C’è da dire che il Premio Viareggio era considerato il premio più serio. Oggi forse non ve ne sono più come quello nell’impostazione. I premi contano perché fanno vendere”.
Dal suo romanzo “Quando sei nato non puoi più nasconderti” è stato tratto il film di Giordana nel 2006; si tratta di un tema quanto mai attuale…
“In precedenza avevo scritto un libro che si chiamava “Stranieri”; se posso riconoscermi una qualità, ho un senso precoce su ciò che può accadere dal punto di vista sociale; tuttavia questa è una dote che non serve a molto perché quando scoppia il fenomeno tutti ne iniziano a scrivere ed il rischio è di essere dimenticato. Non è una lamentela ma una constatazione. Sugli immigrati che dire? L’Italia è un paese lento che si accorge tardi delle cose; questa gente da un lato è stata utilizzata come forza lavoro, dall’altro è stata additata come il male per raccogliere consenso politico”.
Valerio Cattano
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