Dalle storie per bambini al romanzo d’amore. Intervista allo scrittore Roberto Piumini

il 12/12/2011 - Redazione

La scrittura di Roberto Piumini non è mai banale, autore eclettico e raffinato, riesce a parlare ai ragazzi e agli adulti con la stessa efficacia e intensità. Per i tipi di Barbera Editore ha abbandonato, momentaneamente, la scrittura per i bambini e affrontato i temi del desiderio, dell’amore, della passione. Ne “L’amatore” (130 pagine,13 euro), Piumini racconta tre storie ambientate in tre città dal profondo sapore letterario: Parigi, Venezia, Vienna. Filo rosso del racconto le relazioni amorose e l’animarsi improvviso di oggetti apparentemente banali: un libro, un ombrello, un quadro.

Attore, autore, conduttore, scrittore, quale di queste forme di comunicazione è più efficace?
“È difficile scegliere tra le varie specialità, personalmente amo la mescolanza, il mix tra poesia e prosa, tra oralità e scrittura. La mia scrittura va verso l’oralità, sono parole pensate per essere lette e recitate; tendo a ricostruire luoghi di conversazione in cui si inventano situazioni vive. Le parole dei miei libri nascono dalla radio, da piccolo non leggevo moltissimo, ma la ascoltavo continuamente. Non è un caso che molti ritrovino nella mia scrittura un’impronta fonetica”.
Lei pubblica libri per bambini da decenni, come sono cambiati i ragazzi?
“In realtà li trovo sempre abbastanza simili, forse sono un po’ più fragili, più timidi. Spesso si parla di come internet o la tivù abbiano cambiato i ragazzi, ma da studi, anche molto autorevoli, risulta che i bambini che leggono di più sono quelli che hanno anche maggiore dimestichezza con i mezzi informatici. La televisione è una cattiva maestra solo se è una cattiva televisione. Molto dipende dall'ambiante in cui sono cresciuti, dal substrato di personalità che il bambino riceve, la variabile sono i grandi. E la scuola. È questo l’unico luogo di formazione della parola con spessore”.
Poi ci sono i libri per gli adulti, quale delle due scritture la diverte maggiormente?
“Sono due giochi. Quello per i ragazzi avviene all'interno di un patto di semplicità ed efficienza: bisogna non essere banale e poveri e allo stesso tempo chiari e vivaci. Istruttivi, ma brillanti. Attenti nell’entrare in punta di piedi nel mondo dei ragazzi. La buona scrittura è quella che con il motore a bassi giri di difficoltà risulta divertente. Per gli adulti gioco altri giochi, più alti più letterari, più vasti. Puoi concederti maggiori libertà, ma se proprio devo scegliere, dico che preferisco quella per i bambini. La scrittura per adulti è un atto singolo personale, esperienza tra solitari, priva di scambi. Per i bambini si scrive per comunità attive e sonore che chiedono trasformazioni, interpretazioni. È una forma di espressione più dinamica, partecipativa, completa”.
I personaggi del suo nuovo libro di racconti per adulti non sono però dei solitari, anzi amano la conversazione e la compagnia. In più in comune hanno il destino: sembrano precipitare travolti dalle proprie passioni, ma al contempo paiono in grado di ritrovare se stessi.
“C'è una specie di ironia del destino, non intenzionale. In me c'è un giansenismo di fondo intellettuale ma anche emozionale. Cerco il guizzo, magari è un vizio dello scrittore per bambini in cui prevale l'atto volitivo”.
Quello del vissero tutti felici e contenti?
“Non proprio, quello del continuare a cercare, della curiosità che non si arresta”.
Ne “L’amatore”, oltre agli uomini, i protagonisti sono gli oggetti, un libro, un ombrello, un quadro…
“Non è una scelta voluta; non voglio attribuire agli oggetti un significato particolare, anche se nel corso degli anni mi sono reso conto che la pittura, i quadri, i pittori sono delle costanti della mia scrittura. Costanti strane considerando che non sono affatto un esperto. Credo però che la pittura sia la non scrittura più vicina alla scrittura. Volendo parlare di arte, ma non di scrittura, mi rifugio nella pittura che ha una teatralità intrinseca molto più elevata della musica. È il mio modo di parlare di scrittura senza essa”.
Quindi dei tre racconti del libro, quello a cui è più legato è quello del pittore viennese?
“Non ho un racconto a cui sono più legato. Sono stati scritti in tempi diversi, anche lontani uno dall’altro. Il primo che ho scritto è quello ambientato a Venezia ed è nato assolutamente per gioco. Gli altri due sono più recenti. Se dovessi scegliere di tenerne uno solo terrei comunque quello ambientato a Parigi, per la sua compattezza e anche perché gli avvenimenti vengono portati avanti quasi esclusivamente attraverso il dialogo”.

Simone Marchi


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