Dante, un "giallo" storico sempre attuale

il 26/08/2011 - Redazione

Francesco Fioretti, originario dell’Abruzzo, con laurea in Lettere a Firenze, è uno dei “casi” letterari dell’estate 2011. Dopo aver pubblicato saggi e persino antologie scolastiche, Fioretti è approdato alla narrativa con “Il libro segreto di Dante” edito da Newton&Compton pure in formula ebook. Un giallo storico che prende spunto dalla morte di Dante: è stato ucciso dalla malaria, o dietro la sua fine c’è ben altro? Un dubbio condiviso dalla figlia del poeta, suor Beatrice, un ex templare di nome Bernard e un medico, Giovanni da Lucca. I tre si muoveranno seguendo diverse piste, e cercando di decifrare un messaggio in codice lasciato da Dante su nove fogli di pergamena.

Perché un giallo storico sulla figura di Dante? - “Perché Dante è in se stesso un “giallo storico”, una figura geniale ed enigmatica, il primo dopo sant’Agostino e Boezio ad usare se stesso come personaggio di una lunga narrazione, in più oggetto di infinite indagini di tutti i tipi, da quelle critiche a quelle esoteriche. In più è il padre fondatore della letteratura europea, dunque ogni riflessione sulla letteratura (e il mio giallo è anche questo) parte da lui”.

Quanta Toscana si trova nel suo romanzo? - Quasi tutti i protagonisti sono toscani, almeno d’origine. Firenze, che è la città dei miei studi universitari, vi compare direttamente in alcune scene, ed è spesso ricordata anche quando l’ambientazione è altrove. È la città della grande finanza europea di quei tempi, l’America del Trecento. Ma, patria anche di Dante, è all’origine anche di un’altra storia, quella che s’identifica a lungo con la storia tout court della cultura italiana. Firenze e la Toscana, come le vivo io, sono un grande faro di italianità, la fucina in cui si elaborano da sempre, più o meno direttamente, quei tratti dell’italianità così apprezzati anche all’estero e che vorrei riassumere in questa formula: un connubio del pragmatismo e della concretezza (a volte però poco lungimiranti) della cultura padana con l’idealismo di larghe vedute (ma a volte astratto e inconcludente) dell’Italia greca e mediterranea. La Toscana è il punto d’incontro, la sintesi in cui i valori ideali si devono fondere necessariamente con la concretezza puntigliosa delle realizzazioni: penso ad esempio, oltre che alla Commedia di Dante, alle opere di Michelangelo. Prendiamo la Pietà, che mette in scena un concetto astratto (la Madonna coetanea di Cristo disegna in pietra un verso dantesco: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”), ma lo fa con un realismo inimmaginabile prima (i famosi tendini e le vene sulla mano di Gesù). Trovo fondamentale questo ruolo di mediazione e fusione che ha avuto ed ha la Toscana, in virtù della sua stessa centralità: quando è in crisi la cultura toscana, va in crisi l’italianità tutta.

Lei ha approfondito gli studi in Germania all’Università di Eichstätt: non è curioso che sia stato necessario andare oltre le Alpi? - “Non è necessario ma può essere utile ad allargare i confini della propria ricerca confrontarsi col dantismo europeo ed americano, che studiano il nostro sommo poeta da prospettive a volte molto diverse dalle nostre. Noi forse siamo più addentro alle questioni tecniche e filologiche, ma in altri paesi occidentali Dante è semplicemente il punto di partenza, come dicevo prima, per ogni discorso sulla letteratura. Quindi studiarlo all’estero può essere utile a porsi questioni differenti”.

Nella vicenda un ruolo è giocato da Bernard, ex cavaliere templare; non si abusa ultimamente, a suo parere, in libri e film, dei Templari? - “Se ne parla molto, e spesso a sproposito, o in ambiti fantascientifici. Io mi sono attenuto a fonti molto serie, e certo, da uomo del mio tempo, non posso fare a meno di affrontare anche temi delicati come questo. Però Bernard è un personaggio che ha una sua coerenza psicologica, si aggrappa all’idea di un tesoro templare per salvarsi dalla crisi dei valori del fondamentalismo sostanziale cui è stato indottrinato da giovane. Lui trova qualcosa, cosa sia ciò che trova parrà a ciascun lettore una cosa diversa. È importante però comprenderne la psicologia, che forse è quella di tutti i “complottisti” di questo mondo: Bernard cerca l’assoluto (e il senso della propria vicenda) in una cassa che contiene due tavole di pietra con scritte in un alfabeto incomprensibile. Cerca segni tangibili del divino ove non può che trovare, in ogni caso, oggetti simbolici umani. Non può che deludere quei lettori che, un po’ come i cacciatori di reliquie del Medioevo, si aspettano da un romanzo che riveli la chiave di un complotto cosmico. Ma piace molto ad altri lettori, che semplicemente, come me, s’interrogano sul senso della vita e della nostra storia”.

Cosa prova ad essere definito “il caso letterario dell’estate 2011”? - “Un vago senso di appagamento: non tutte le mie fatiche sono state vane. Evidentemente qualcuno si consola a leggere questo libro come io a scriverlo. Dante ci dice che le idee lungimiranti, anche se a volte sembrano temporaneamente sconfitte dalla storia, alla lunga hanno più forza dei piccoli interessi a breve termine che in apparenza possono apparire vincenti”.

Dato che il suo primo romanzo ha avuto tanto successo, è lecito attendere un seguito? Suor Beatrice, la figlia di Dante, e Bernard torneranno ancora in una sua storia? - “Penso a una trilogia sulla storia d’Italia, e mi sposterò su altre epoche, dunque con altri personaggi. Ma chissà, forse tra dieci anni...”.

Valerio Cattano

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