Editori toscani al bivio, qualità e diversificazione dell’offerta per uscire dalla crisi

il 27/02/2013 - Redazione

Appena l’1,1% del Pil viene stanziato in Italia nel settore della cultura. Basterebbe questo dato per comprendere come “la crisi dell’industria editoriale non sia una crisi di singole situazioni bensì di un intero settore decisivo della democrazia, della vita pubblica e dell’industria italiana”. Un’analisi spietata, quella di Franco Siddi, segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ma che non lascia spazio a molte interpretazioni. E la Toscana dell’editoria non fa eccezione (leggi).

Le opinioni
– Toscanalibri.it ha chiesto ad alcuni dei protagonisti dell’editoria regionale cosa ne pensino e come stanno vivendo questo particolare momento di crisi del settore e sulle possibili azioni per uscirne.
Francesca Fazzi (Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca) - «La crisi, è certo, nel 2012 si è fatta sentire. Tante le cause e in aggiunta a quelle che hanno colpito tutti i settori, in quello editoriale spicca in particolare la drammatica situazione delle librerie indipendenti - ma anche non - che, una dopo l'altra chiudono i battenti. La nostra parola d'ordine è stata "diversificare i canali distributivi". Continuiamo a vedere la libreria come luogo privilegiato per la vendita, ma lo abbiamo integrato con tanti punti extra-libreria abbinando il libro di volta in volta ai prodotti tipici, alla cartoleria, alla domanda turistica. Anche l'e-book fa parte di questo allargamento e diversificazione dell'offerta: un settore nuovo e sperimentale per tutto il nostro settore, al quale guardare in prospettiva preparandosi alle nuove opportunità che la graduale conoscenza di questo mezzo sicuramente potrà offrirci. Abbiamo iniziato quindi la digitalizzazione del nostro archivio di testi storici, dei fuori catalogo e presto contiamo di offrire ai nostri lettori, senza mai trascurare la qualità e certo diversificando il tipo di offerta su più supporti dello stesso prodotto».
Roberta Capanni (Romano Editore, Firenze) - «La crisi è generale ma il settore sconta anni di politiche che non hanno dato alcun sostegno alla cultura. Certo, le librerie chiudono ma il problema non viene affrontato nel modo giusto. Chiudono perché in Italia non c'è la cultura della lettura, perché le librerie son diventate come grandi supermercati dove nessuno consiglia il libro da leggere e acquistare e i grandi editori sfornano titoli che praticamente son già piazzati sul mercato. In Toscana ci sono tanti piccoli editori indipendenti; editori che non sono a pagamento, fanno ricerca e che ormai sono gli unici che possono aprire le porte ad autori nuovi. Questa funzione di talent scout non viene riconosciuta da nessuno e questo fa sì che i libri non si trovino nelle poche librerie rimaste. Inoltre i piccoli editori indipendenti non sono mai chiamati a dire la loro: al loro posto parlano solo editori che hanno le spalle ben più grosse e che hanno ottenuto nel tempo tanti finanziamenti pubblici. Ai piccoli editori tutto questo non è concesso. Per quanto riguarda l’editoria digitale posso dire che gli ebook non fanno diminuire le vendite perché il vero lettore il buon libro ha il piacere di averlo tra le mani, di riprenderlo dopo del tempo, di rileggerlo e riguardare le frasi sottolineate; perché un libro ti rivela sempre solo ciò che in quel dato momento è necessario per te. Il problema è che oggi il libro è considerato non più un prodotto di crescita e cultura ma una merce a scadenza: poche settimane in libreria e poi viene restituito all'editore».
Piero Cademartori (Editrice Zona, Arezzo) - «La crisi generale e quella del mercato editoriale in particolare, ha colpito tutta la filiera del libro. Per paradosso, noi piccoli editori abbiamo la possibilità, se si fanno scelte giuste e oculate, di sopravvivere in nicchie e meandri; le difficoltà le abbiamo sempre avute e quindi siamo "temprati" di aziende più grandi ad affrontare i periodi bui e a ricollocarci con rapidità. Certo, anche per noi è stato necessario ridimensionare tirature e numero di titoli annui, e soprattutto selezionare maggiormente i libri da proporre sul mercato. Nonostante tutto, continuiamo a fare molti libri di letteratura, che in questo momento è il settore che maggiormente soffre, supportati da una buona distribuzione nazionale che ci permette di arrivare laddove non tutti i piccoli editori hanno modo. E nella nostra nicchia commerciale di riferimento, quella della musica e della canzone, beneficiamo del credito accumulato e questo ci permette di sopravvivere. Penso poi che il libro elettronico rappresenti ancora una diversificazione commerciale e non un vero business, anche se è necessario attrezzarsi. Noi piccoli editori possiamo trovare lì una nuova linfa, creare nuovi progetti, darci nuove prospettive».
Valdo Spini (presidente CRIC, Coordinamento Riviste Italiane di Cultura) - «La piattaforma digitale è contemporaneamente un’insidia e una potenzialità per le riviste, specie quelle di cultura. Da un lato mette in crisi il legame “fisico” con la rivista, la sua copertina, il suo modo di essere che sono strettamente intrecciate con gli articoli che contiene e con il loro taglio. La rivista è lettura ma anche oggetto. Non solo, ma il web mette sotto una luce diversa anche il concetto di periodicità. Quale sarà la soluzione di continuità tra la rivista e il sito? E così via. Dall’altro lato è anche una potenzialità perché permette di far conoscere i suoi articoli e di incassare un corrispettivo per la loro lettura a livello mondiale. Mi spiego: se qualcuno da Helsinki o da Los Angeles è interessato ad un particolare articolo di una particolare rivista italiana, perché deve muoverne tutto un fascicolo per posta? Può istantaneamente disporre di quell’articolo pagano una modesta cifra ad una piattaforma digitale. Quindi cartaceo e digitale lungi dall’eliminarsi l’uno con l’altro, possono coesiste ed integrarsi. Naturalmente bisogna imparare a fare le riviste in un modo diverso, a dotarle di parole chiave, di abstract in inglese (il moderno latino, lingua universale) e così via. Uno sforzo che dovremmo fare tutti insieme, redattori delle riviste, editori, distributori e a cui potrebbe spingerci con idonee strategie anche il pubblico, soggetto nazionale, regionale o ente locale che sia»
Luca Betti (Betti Editrice, Siena) - «Anche la nostra piccola realtà editoriale sente la crisi; nonostante la nostra consueta voglia di fare, dobbiamo esser più cauti: le librerie chiudono (anche se a Siena ne hanno aperte di nuove) ma la mancanza di qualunque tipo di commessa - universitaria o istituzionale - rende sempre più arduo raggiungere un punto di pareggio nell'edizione del libro cartaceo. La situazione non migliora nel versante degli e-book, che sebbene meno onerosi da realizzare (in particolar modo per noi, che non disponiamo di tipografia interna) necessitano di molto tempo per un adeguato rientro del costo di produzione. I nostri programmi per il 2013 riguardano soprattutto l'editoria locale e quella per bambini. Da quest'ultimo settore, che è diffuso con il marchio "Betti Junior" stiamo ricevendo soddisfazioni soprattutto in termini di critica».
Georgia Corbo (responsabile marketing e sviluppo Olschki Editore, Firenze) - «In Italia l'ebook si sta affermando con enorme lentezza rispetto ad altri paesi e con percentuali ancora irrisorie. Tuttavia siamo chiamati a guardare alla tecnologia e alle trasformazioni radicali che comporta nelle abitudini, anche quelle di lettura, con curiosità e senza posizioni aprioristiche. L'ebook si diffonde meno in Italia anche perché gli italiani leggono pochissimo (è sempre utile ricordare che nelle classifiche sulla lettura di libri in Europa siamo perennemente agli ultimi posti e che il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno). Non crediamo che il libro tradizionale - un oggetto perfetto in sé - sia giunto al suo tramonto, piuttosto speriamo che il digitale offra nuove opportunità per moltiplicare le occasioni di lettura e che la crescita del mercato di tablet e smartphone offra anche al lettore occasionale un mezzo in più per leggere, e una scusa in meno per non farlo. Il problema può essere piuttosto l'imposizione, in particolare da parte di alcune piattaforme, di un modello commerciale che prevede un prezzo bassissimo del contenuto digitale. Per gli editori come Olschki, che da sempre associano al rigore scientifico l'alta qualità della veste editoriale, questo nuovo fronte costituisce anche un rischio, inutile negarlo. Ma la sostanza sono i contenuti, va ricordato, e alla domanda di nuove forme attraverso le quali fruirne bisogna dare una risposta in linea con i tempi. Fino a poco tempo fa non avremmo mai immaginato che le biblioteche ponessero come conditio sine qua non la disponibilità della versione digitale di volumi e riviste, per accoglierle, ma per noi, che ci rivolgiamo agli studiosi, favorire la disponibilità delle opere dell'ingegno pubblicate deve essere più importante del mezzo che le racchiude. Ecco perché abbiamo avviato la digitalizzazione completa delle nostre riviste, in corso d'opera, e di parte del nostro catalogo. Ed ecco perché il nostro primo vero ebook uscirà a breve, dopo pochi mesi dal lancio del libro in cartaceo, a firma di Luca Ferrieri, direttore di una biblioteca, con titolo: Tra l'ultimo libro letto e il primo nuovo da aprire. Letture e passioni che abitiamo».

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