Quasi settanta anni dopo la piastrina identificativa del sergente Francesco Palmulli è tornata a casa, compiendo il percorso inverso da Firenze alla Puglia. Si era persa chissà dove, probabilmente nei drammatici giorni seguiti all’8 settembre: è rispuntata da un terrapieno ma soprattutto dal mondo virtuale di internet. E’ il futuro che incontra il passato, il web, facebook e google che diventano la trama per raccontare una storia come tante nei lunghi anni del secondo conflitto mondiale: la guerra lontano da casa, lo sbandamento dell’esercito italiano dopo l’armistizio, i mesi fatti di paura e nascondigli, il ritorno alla luce con il passaggio del fronte e l’arrivo delle forze di liberazione.
Il ritrovamento - Il sergente Francesco Palmulli non c’è più, è morto nel 2003 a 88 anni. Qualche tempo prima - ma per lungo tempo praticamente nessuno l’ha saputo – Luigi Marcucci e il suo cane Shiro, durante una lunga passeggiata, avevano fatto una strana scoperta sul greto del torrente Vingone, nei dintorni di Scandicci. Dalla terra riportata sull’argine sbucava appena un rettangolo di metallo luccicante: ripulito dalla terra e dai detriti, si era rivelato una piastrina militare di riconoscimento ancora integra: “1915/39033 BIS (66) PALMULLI FRANCESCO DI VITO E DI DITERLIZZI ROSA/ RUVO (BARI)”. Quel pezzo di storia personale è rimasto su uno scaffale finché un giorno Enrico Agostini, un amico di Marcucci, non ha messo a frutto la sua passione per la tecnologia: “Guarda che tramite internet si possono ritrovare le persone, io l’ho fatto con un mio vecchio commilitone”, ha detto prendendosi a cuore quel ritrovamento. Ed è andato in cerca di un aggancio, trovando la disponibilità e la passione per le vicende del proprio comune in Francesco Marinelli, giornalista di ruvodipugliaweb.it, il portale del centro pugliese che a febbraio ha lanciato l’appello, riproposto anche via facebook da Agostini: “Dateci una mano a ritrovare quel soldato”. Alla fine, è stato il motore di ricerca più diffuso a colmare le distanze: Vito Palmulli, nipote di Francesco, ha scovato quell’appello e nei giorni scorsi la piastrina è stata riconsegnata a Susanna, la nipote del sergente.
Gli anni della guerra - Poco meno di settanta anni dopo la conclusione della guerra a Firenze, con quel drammatico epilogo rappresentato dall’esplosione di tutti i ponti – ad eccezione del Ponte Vecchio – causata dai tedeschi in fuga. Uno sfregio inflitto all’alba del 4 agosto 1944. Ma già dal giorno prima Oltrarno i tedeschi battono già in ritirata, a eccezione di qualche cecchino che porta a termine il suo macabro compito nonostante la storia della guerra sia ormai scritta. E proprio il 3 agosto, non a caso, il sergente Palmulli viene ricoverato per duodenite all’Ospedale militare di Firenze. E’ il foglio matricolare a raccontare la sua storia, che inizia alla vigilia della guerra, con la chiamata alla armi giunta al Distretto militare di Bari il 3 aprile 1939. Il giorno dopo arriva la destinazione all’83° Reggimento di Fanteria di Pistoia e dal 27 giugno 1939 l’assegnazione definitiva al Distretto militare di Firenze. Eccetto tre brevi periodi di licenza, Palmulli resterà sempre a Firenze per tutto il periodo della guerra, almeno finché esiste a tutti gli effetti l’esercito italiano. Perché l’8 settembre anche lui, come moltissimi, viene travolto dalla totale impreparazione delle truppe regie all’annuncio dell’armistizio. Nei vari documenti ritrovati nella sua casa di Bari, si ricostruisce che da quel giorno il sergente si definisce sbandato e rimasto nascosto a Firenze fino al 9 agosto 1944. In realtà già sei giorni prima, si legge nel foglio matricolare, era in qualche modo uscito allo scoperto facendosi ricoverare all’Ospedale militare.
La piastrina torna a casa - E’ verosimile che proprio in quei mesi di clandestinità Palmulli abbia perso, se non volontariamente gettato, la propria piastrina identificativa. Impossibile sapere con certezza il perché – anche se è plausibile che volesse eliminare ogni possibile elemento di identificazione da parte dei tedeschi o dei repubblichini -, ancora meno possibile sapere dove. Ci sono voluti sessanta anni perché quel piccolo pezzo di metallo rivedesse la luce, un altro decennio perché tornasse a casa. Per rendere omaggio alla memoria del sergente.
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