Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia ebraica racchiusi in un libro

il 20/09/2010 - Redazione

Forte come la morte è l’amore”. E’ uno struggente e terribile verso del Cantico dei Cantici a dare il titolo all’antologia, curata da Sara Ferrari e pubblicata dalla casa editrice Salomone Belforte & C. di Livorno, in cui sono raccolte le poesie scritte in ebraico in tremila anni di storia del popolo d’Israele. Il libro non può che iniziare con il testo integrale del Cantico dei Cantici, inno alla donna e alla sua bellezza, che non è solo membra aggraziate e occhi sognanti, ma anche e soprattutto il coraggio di vivere l’amore nella piena coscienza di quanto questo sentimento possa essere terribile. A questo splendido inizio seguono le liriche sensuali della Spagna del X secolo, che ci trasportano nella magia del califfato di Cordoba, dell’Alhambra di Granada. Qui arabi ed ebrei vivono gli uni al fianco degli altri, in un vivace e reciproco scambio culturale, che ha dato vita a quella che è stata definita “l’età dell’oro” della poesia medievale ebraica. Le donne sono gazzelle o cerbiatte, creature di soave bellezza, per lo più crudeli e insensibili al richiamo di uomini disperati e disposti a morire per amore. Non meno sensuali di quelle destinate alle donne sono poi le liriche d’amore indirizzate a giovani uomini scritte dai maggiori poeti ebrei del tempo. La storia della poesia d’amore ebraica, in tempi più recenti, riflette inevitabilmente la tormentata storia d’Israele. Amore e guerra allora si sovrappongono in un turbine di sentimenti contrastanti, come in Poesia d’amore israeliana di Moshe Dor, dove l’inquietudine dei conflitti arriva quasi a cancellare dalla memoria la donna amata. Ma l’uomo ha bisogno dell’amore, della sua ebbrezza, che si chiami “Rosalia, Laura, Eva, Avigail” oppure “Morte”, parafrasando Pinhas Sade. Amore può essere la semplice libertà dello scegliersi espresso da Perché con te di Yonah Wallach, o il sadismo insito in Vengo di Aryeh Sivan. Esso può avere il dolceamaro sapore della terra natale, come in Topografia di Moshe Dor, o essere elevato a icona ideologica, come in Politica di Aharon Shabtay; può camminare spavaldo per la città come la protagonista di Schizzi di Tel Aviv di Meir Wieseltier o procedere incerto tra affermazione e negazione, come in Terza danza di Hezy Leskly. Nelle sue molteplici sfaccettature, l’amore appare dunque sempre diverso, sebbene in realtà esso non muti mai nella sostanza, nel suo essere forza salvifica e sconvolgente. Un amore che è dolce, ma nello stesso tempo duole. Del più tremendo e soave dei dolori.

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