“In un click c’è un viaggio tutto da raccontare”. Parla la visual designer Vanessa Rusci

il 01/10/2012 - Redazione

Un “Carpe diem” sensoriale. Una fotografia è questo: cogliere un istante, un attimo, un’immagine che sappia far, per l’appunto, scattare qualcosa nella sensorialità di chi la guarda. Sia prima che dopo la chiusura dell’obiettivo. È questo forse il senso più profondo che emerge dalle parole di Vanessi Rusci, visual designer, che sta allestendo ad Asciano un’esposizione, in programma il 6 ottobre nei locali della Mediateca, con istallazioni, performance e reportages degli allievi del corso, tenuto proprio da Vanessa Rusci con il compagno Andrea Bassega, di “Approccio alla fotografia attraverso i sensi” . Tutti e cinque.

In che senso?
“La sensorialità non va confusa con la sinestesia che è rappresentare un’emozione e comunicarla. Il mio obiettivo è far emergere lo stile personale dell’osservatore e delle sue emozioni nel momento in cui scatta una foto. È questo l’elemento veramente distintivo del fare fotografia oggi. Con i mezzi tecnici che abbiamo, un reportage fotografico è alla portata di tutti”.
Quali sono i requisiti per apprendere il “suo” metodo?
“Sperimentare il mio metodo è arricchire il proprio bagaglio visivo, è compiere un viaggio concentrandosi sulle proprie percezioni. È accelerare i cinque sensi, essere consapevoli degli input che ci arrivano e…scattare. Un grande ostacolo è la razionalizzazione e il continuo bombardamento di immagini cui è soggetta la nostra mente. Ormai siamo assuefatti dalle immagini e proprio per questo è necessario scardinare i vincoli della nostra percezione e immergersi totalmente in ciò che ci circonda”.
E come si apprende il metodo?
“Si parte con esercizi tattili e olfattivi. L’occhio si deve calare interamente nel luogo in completa trasposizione sensoriale. Spesso chiedo ai miei allievi di andare nei posti dove vorranno scattare la foto, toccare tutto, annusare, assaporare tutte le cose che li circondano e poi scattare immediatamente, d’impulso. Il risultato sarà il racconto dell’esperienza vissuta in quel luogo”.
Quale è la più grande soddisfazione in tutto questo?
“Per quanto mi riguarda, il vedere i miei allievi che indipendentemente ricevono premi un po’ in tutta Italia. Mi riferisco a Tamara Scali, Patrizia Mori, Antonio Lorenzini, Cristian Angeli: tutte persone che hanno “sperimentato il metodo” ma che sono riusciti a trasportarlo sulle loro foto con linguaggi ed emozioni del tutto diverse e particolari”.
Quale è il valore artistico della fotografia oggi?
“Per come la interpreto io, una foto è fare un viaggio da raccontare attraverso la propria esperienza. Sensoriale soprattutto. I grandi fotoreporter si immergono totalmente nelle situazioni e vedono più di altri. Proprio perché vi entrano con tutti i loro sensi, vivendoli sulla propria pelle. Mi riferisco a Capa e Vesson ma grandi fonti d’ispirazione in tal senso possono essere Cindy Scherman, Nan Goldin e Tina Modotti. Ci sono poi giovani fotografi che godono di tanta stima nel panorama artistico internazionale. Alcuni scatti sono veramente folgoranti”.
Oggi quale è il suo rapporto con la fotografia? Anche considerando la dirompente irruenza di un social network come Instagram che si basa su foto filtrate a mo’ di arte…
“Ho iniziato a 18 anni a fare foto e me ne sono perdutamente innamorata. Amo anche la tecnologia. Instagram ci rende tutti fotografi ed è bello. Siamo di fronte alla stessa rivoluzione di quando tutti hanno iniziato ad usufruire di sistemi operativi per scrivere su un pc. Non per questo, siamo diventati tutti scrittori. Non mi fa paura la fotografia formato “social”, credo che invece aumenterà la sua percezione culturale, rendendola un linguaggio comune. Chi è artista poi continuerà ad esercitare la sua professione. Il problema non è il come: se hai qualcosa da dire o da raccontare attraverso le immagini lo puoi fare con qualsiasi mezzo”.

Andrea Frullanti

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