“L'oblio è la pietra tombale della verità”, parla Valter Rizzo autore di “Nessuna pietà per Pasolini"

il 19/12/2011 - Redazione

Le verità nascoste. Troppe, in Italia. Una di queste riguarda l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto il 2 novembre 1975 ad Ostia, nella zona dell’idroscalo. Forse ai più giovani il nome di Pasolini dirà poco ma si è trattato, probabilmente, di un intellettuale talmente poliedrico nelle sue genialità e nella lucidità di analisi del tempo che viveva, da rendere fuori luogo ogni paragone con personaggi attuali. Alcuni giornalisti, registi, amici di Pasolini, si sono battuti sin dal giorno dopo la sua morte per evitare che la vicenda cadesse nell’oblio, che la lettura restasse solo legata ad un incontro fra omosessuali finito nel sangue. La trappola mortale contro Pasolini fu molto di più: ne sono ancora convinti l’avvocato Stefano Maccioni, la criminologa Simona Ruffini ed il giornalista Valter Rizzo, che hanno firmato insieme il libro “Nessuna pietà per Pasolini” (Editori Riuniti). A Rizzo, Toscanalibri ha rivolto alcune domande sul motivo che lo ha spinto, assieme a Maccioni e Ruffini, a riportare a galla una delle pagine più oscure della storia italiana.

Nel libro si ripropone la tesi della spedizione punitiva nei confronti del poeta, da attribuire ad ambienti dell’estrema destra provenienti da Catania: vuole spiegare meglio?
“Io non parlerei di spedizione punitiva, piuttosto di un vero e proprio agguato organizzato per uccidere. A dircelo sono una serie di elementi di prova e la stessa sentenza di primo grado che indica chiaramente la presenza di altri soggetti sulla scena del crimine. La relazione medico legale racconta un pestaggio sistematico compiuto da professionisti. Pino Pelosi (il primo ad essere arrestato qualche ora dopo l’omicidio, ndr) non poteva assolutamente realizzare quelle devastazioni, e neppure sopraffare Pasolini dal punto di vista fisico. Sul ruolo che possono avere avuto personaggi legati all'estrema destra catanese abbiamo raccolto una serie di elementi interessanti, in particolare alcune testimonianze inedite, una delle quali autorevolissima, che riferiscono dei rapporti che Pasolini aveva a Catania (dove tra l'altro aveva preso in affitto un appartamento in via Firenze) con giovani sottoproletari a loro volta legati alle squadre di picchiatori del Movimento sociale italiano (Msi). Se serviva qualcuno capace di massacrare una persona possiamo dire che questi personaggi era nelle condizioni di poterlo fare. Non solo, alcuni di loro conoscevano benissimo Pasolini. Sul ruolo di personaggi catanesi vi sono poi le parole di Pelosi, che riferisce della presenza di tre persone all'idroscalo giunte a bordo di un'auto scura e che parlavano in siciliano. Potrebbe essersi inventato tutto e recentemente ha pure ritrattato queste sue dichiarazioni. Ma Pelosi fornisce una serie di particolari che sarebbe stato complicato inventare. Tra questi una parola che sarebbe stata rivolta a Pasolini da uno dei suoi aguzzini. Si tratta di un insulto arcaico e desueto persino a Catania, che Pelosi non poteva conoscere se non lo avesse realmente sentito”.

Pasolini ed un fantomatico “ragazzo biondo” che sarebbe stato con lui poche ore prima del delitto: è questa una delle piste che avete battuto?
“La presenza di questo personaggio emerge da tre testimonianze. La prima l'abbiamo “dissotterrata” perchè contenuta in un verbale di interrogatorio reso dal proprietario del ristorante romano "Al biondo Tevere" dove Pasolini e il suo accompagnatore si fermarono prima di andare all'Idroscalo. Questo verbale è rimasto per trentasei anni sepolto tra le carte del fascicolo, senza che nessuno - neppure gli avvocati di Parte civile - lo prendesse in considerazione. In queste due pagine di deposizione rese diciassette ore dopo i fatti, il ristoratore traccia una sorta di identikit del giovane che si trovava con Pasolini quella sera. Lo descrive come un giovane alto oltre 1,70, di corporatura regolare e con i capelli biondi, mossi, pettinati all'indietro e lunghi fino al collo. E' evidente che la descrizione non corrisponde a Pelosi. Eppure poche righe dopo il ristoratore dichiara di firmare per avvenuto riconoscimento una foto che gli viene mostrata e che a dire del verbalizzante ritrae Pino Pelosi. La foto non siamo riusciti a trovarla e non sappiamo se effettivamente esista. Il ristoratore è morto tre anni fa, ma sua moglie è viva ed era anche lei era presente la sera del 1 novembre 1975. L'abbiamo rintracciata e ci ha confermato la descrizione fatta dal marito. Ma abbiamo anche ritrovato, in modo un po' rocambolesco, uno degli ultimi sopravvissuti tra coloro che avevano le baracche nel piazzale dove avvenne i delitto. Quest'uomo ci ha detto, firmando una deposizione giurata davanti a testimoni, che Pasolini era stato spesso all'idroscalo sia per dei sopralluoghi cinematografici, ma anche per giocare a calcio ed era spesso in compagnia di un giovane biondo. Da sottolineare che questo testimone non sapeva nulla della deposizione del ristoratore che viene pubblicata per la prima volta nel nostro libro. Chi era questo giovane biondo e che ruolo ha avuto nell'agguato? E' la domanda che ci siamo posti e che poniamo a chi indaga”.

Quando è nata l’idea di scrivere un libro?
“Subito dopo che Stefano Maccioni e Simona Ruffini hanno depositato in Procura l'istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini. Io avevo proposto a Chi l'ha Visto? di occuparmi del caso e da questo è nato il nostro incontro. La vicenda era rimasta per troppo tempo nell'ombra ed era fortissima l'esigenza di sgombrare il campo da luoghi comuni e mistificazioni. Abbiamo deciso di proporre un libro ed Editori Riuniti ci ha creduto”.

Come è stato suddiviso il lavoro di ricerca e scrittura?
“Molto lavoro di ricerca era stato già fatto per l'istanza di riapertura delle indagini, ma occuparsi di Pasolini porta inevitabilmente ad aprire porte rimaste chiuse per anni. Così mano a mano che andavamo avanti trovavamo nuovo materiale e nuovi testimoni. Il pericolo in questi casi è di finire dentro spirali dietrologiche o addirittura preda di mitomani o depistatori. Il grosso del lavoro è stato di verifica e di riscontro, che in parte raccontiamo anche nel libro. Di certo vi saranno errori, ma abbiamo fatto il possibile per pubblicare solo notizie fondate e riscontrate. Il lavoro è stato diviso per parti; ad esempio tutti gli aspetti scientifici e criminologici li ha seguiti direttamente Simona Ruffini, che ha una particolare competenza. Entrare dentro uno dei grandi buchi neri della Storia della Repubblica è un'esperienza che dà anche angoscia e sofferenza. Scrivere questo libro è stato fare i conti con quello che ci è stato tolto non solo con Pasolini, ma con la coltre che ha coperto una larga parte della nostra Storia. Inevitabilmente ci siamo trovati a pensare a cosa sarebbe stato questo Paese se Pasolini avesse potuto continuare a pensare, scrivere e parlare”.

Ritieni veramente che un libro, a tanti anni di distanza dai fatti, possa essere utile a reperire nuovi elementi per chiarire movente e contorni dell’omicidio?
“Abbiamo scritto a chiusura del libro che il nostro lavoro non ha assolutamente la pretesa di fornire una verità esaustiva sul caso Pasolini. Il nostro è un contributo, che speriamo possa avere una sua utilità; possa fornire spunti, così come lo hanno fatto altri libri. Cito per tutti Profondo Nero di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco. Il caso Pasolini è complesso e si inserisce in una stagione buia e terribile della nostra storia, che inizia dagli anni sessanta, e si dipana forse fin ai giorni nostri. Non a caso la Procura di Palermo nelle scorse settimane ha deciso di aprire una nuova indagine che lega insieme tre omicidi eccellenti: Mattei, De Mauro e Pasolini. La cosa peggiore che può accadere quando non si conosce la verità su vicende così gravi è che non se ne parli più. L'oblio è la pietra tombale della verità”.

Tu hai incontrato Pino Pelosi, colui che fu arrestato come unico responsabile dell’omicidio: secondo il tuo parere perché avrebbe accettato di fare da paravento?
“Si mente di solito per due motivi: per denaro o per paura. Pelosi potrebbe aver mentito per entrambi. Quando l'ho incontrato l'ho portato a confessare che la scelta di nominare come legale di fiducia l'avvocato Rocco Mangia non era stata una sua idea. Quel giorno per la prima volta Pelosi ammise di esser stato diretto dall'esterno. Dice di aver paura, ma sostiene di non conoscere le persone di cui ha paura. Indica solo il nome di qualche gregario morto da tempo, ma su chi sono i registi dell'operazione tace”.

Valerio Cattano

Torna Indietro

NEWS

Libri

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x