“L’ultimo harem”, in scena l’atavico contrasto tra uomo e donna giocato a colpi di racconto

il 31/01/2013 - Redazione

Tre attori di alto livello, una scenografia essenziale e tutta la forza della suggestione. Sono questi gli elementi principali che fanno de “L’ultimo harem” – al teatro di Rifredi di Firenze fino al 3 febbraio – uno spettacolo di grande successo, rappresentato con lo stesso entusiasmo da nove anni.

L’affinità tra i protagonisti in scena è tangibile. La si percepisce dagli sguardi di intesa, dal modo in cui recitano divertendosi, in un’alternanza continua tra l’essere personaggi e al contempo narratori. Il pubblico è accomodato sul palcoscenico, su tappeti e cuscini come in un lussuoso harem-hammam, a distanza ravvicinata dagli attori. Ed è impossibile non rimanere affascinati dal loro affabulare magico e reale al tempo stesso.

Nella prima parte dello spettacolo, l’atmosfera che si viene a creare - fatta di profumi, vapori e musiche provenienti da paesi lontani – proietta gli spettatori nella Istanbul del 1909, alla vigilia della chiusura degli harem. Nel palazzo di Yildiz una seducente circassa (Valentina Chico), aspetta la visita del sultano insieme all’anziana guardiana (Serra Yilmaz) e al capo degli eunuchi imperiali (Riccardo Naldini), ingannando l’attesa con il racconto di storie fantastiche. C’era una volta e non c’era una volta… E’ forte il richiamo a Sherazade e a “Le mille e una notte”. Prestando ascolto alle parole dell’anziana guardiana, si capisce come l’harem, contrariamente a quanto si possa pensare, sia un luogo di potere per le donne, che riescono a sedurre il sultano grazie a quella che è la loro vera arma nella lotta dei sessi: il racconto.

La seconda parte dello spettacolo, invece, è ambientata quasi cento anni dopo. Non ci sono più harem né guardiane né giovani donne o eunuchi. Forse. In scena Nebilè, una casalinga dimessa, e la sua spumeggiante amica, intente - tra assi da stiro, detersivi e fondi di caffè – a sognare improbabili fughe dalla prigione del loro indecifrabile malessere quotidiano. Come Tim Robbins in "Le ali della libertà", Nebilè scava un tunnel con una forchetta e si ritrova nell’appartamento dei vicini: l’ennesima coppia che non comunica più. La trova il marito e decide di tenerla con sé, al sicuro nella stanza usata come camera oscura. Ogni sera si incontrano e Nebilè racconta all’uomo episodi della sua vita. La camera oscura come il gran palazzo del sultano. E sullo sfondo, ancora, le mille storie di una notte.

L’harem va visto, quindi, non solo come una cinta di mura invalicabili, ma piuttosto come luogo dello spirito, un’attitudine pericolosa in cui uomini e donne possono cadere prigionieri, sia in Oriente che in Occidente, ieri come oggi.

Simona Trevisi

“L’ultimo harem”
liberamente ispirato ai racconti de “Le mille e una notte” e di Nazli Eray
e ai saggi di Ayse Saracgil e Fatema Mernissi
testo e regia di Angelo Savelli
con Serra Yilmaz, Valentina Chico e Riccardo Naldini
scene e costumi di Mirco Rocchi, luci di Roberto Cafaggini

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