“L’uomo vero è l’uomo libero da se stesso”. Parla il teologo Vito Mancuso autore de La vita autentica

il 01/03/2010 - Redazione

“Il compito dell’idea cristiana è quella di tornare a formare l’idea del bene, tutto il resto è secondario”. A dirlo è il teologo Vito Mancuso nell’incontro con i lettori che si è tenuto venerdì 19 febbraio al Teatro Politeama di Poggibonsi. Due ore di intenso confronto in occasione della presentazione del suo ultimo libro “La vita autentica” (Raffaello Cortina Editore). L’incontro ha visto la partecipazione di un ampio pubblico che non ha certo risparmiato al teologo domande pungenti.

Di cosa parla il suo ultimo saggio “La vita autentica”?
“Questo libro è un saggio sulla libertà che tenta di andare ad analizzare la più grande ricchezza e al contempo la più grande fonte di povertà che abbiamo dentro di noi, cioè il fatto che siamo liberi rispetto alla natura e all’ambiente che ci ha costituiti. Questa possibilità di essere liberi è all’origine del bene e del male che l’umanità sa fare e per ciò occorre coltivare, educare, disciplinare, normare la libertà”.
Che cos’è l’uomo vero?
“Nel mio saggio ci sono tre tesi. Prima tesi: un vero uomo è l’uomo libero. Seconda tesi: l’uomo vero è l’uomo libero innanzitutto da se stesso, dalle proprie pulsioni, dal proprio desiderio di successo, ovvero dalle proprie volontà di dominare gli altri, dalle proprie concupiscenze, dai propri egoismi, un uomo libero da tutto quel suolo che ciascuno di noi sa benissimo di contenere dentro di sé. L’uomo libero è colui che riesce ad essere fedele a se stesso, ma al contempo anche libero da se stesso e lo può fare, e qui la terza tesi contenuta nel saggio, nella misura in cui si dedica a qualcosa di più grande di sé. Quindi l’uomo vero è colui che spende la propria più preziosa energia, la libertà, per un ideale più vero e più grande che volta per volta si può chiamare giustizia, bene, amore, solidarietà”.
L’uomo vero deve mettere da parte se stesso sul piano personale per abbracciare regole più ampie? “Non deve metterlo da parte, deve legare se stesso, deve rendere funzionale se stesso a qualcosa di più grande di sé scoprendo, e questa è la somma benevolenza della vita, che se si giunge a spendere la propria vita per qualcosa di più grande di sé non solo non si perde niente ma si acquista un sapore, un’armonia, una personalità, una luce totalmente pura, individuale e direi unica. È questo il punto decisivo; se io supero me stesso, io realizzo me stesso. Un concetto che si vede chiaramente nei grandi uomini, non parlo solo di quelli credenti. I grandi uomini sono contraddistinti dalla dedizione a qualcosa di più grande di sé: ad esempio l’idea del bello, l’idea della musica, la grande letteratura e, nel fare questo, sono giunti a individuarsi perfettamente, ad essere quanto mai singolari”.
Nell’era post-moderna si registra un allontanamento dell’uomo da Dio a favore di scorciatoie per arrivare al successo. Si sta verificando una perdita dell’etica?
“Se l’uomo avesse perso l’etica saremmo allo sfacelo più totale; credo invece che ci sia una perdita del senso della normatività dell’etica, cioè il senso che l’etica sia il fare il bene e l’evitare il male e che questi siano degli imperativi che si impongono alla coscienza umana anche quando gli interessi personali suggeriscono il contrario. Questa consapevolezza che l’uomo ha sempre avuto oggi è venuta meno. Nel post-moderno si contesta esattamente il fatto che gli interessi del singolo si devono piegare a qualcosa di più grande di sé. Questa perdita della normatività dell’etica va di pari passo con la perdita di un sentimento profondo della religiosità. Essere religiosi vuol dire esattamente la convinzione di dover spendere la vita in funzione di qualcosa di più grande di se stessi. È questo il concetto alla base del movimento religioso originario, a prescindere da come si chiami questo qualcosa di più grande. La perdita dell’etica va di pari passo con la perdita del sentimento religioso”.
Il bene dell’uomo è uguale a quello dell’umanità? E il bene dell’uomo e dell’umanità è uguale a quello del mondo?
“Non lo so, è verissimo che a volte il bene del singolo non corrisponda necessariamente al bene della collettività ed è altrettanto vero che il bene dell’umanità non corrisponda al bene del mondo. Basti pensare al grave problema dell’ecologia che nasce dal fatto che i paesi che un tempo erano sottosviluppati diventino anche loro industrializzati e posseggano tecnologie e automobili. Tutto questo produce i grossissimi problemi ecologici che noi abbiamo. Probabilmente ciascuno di noi può e deve partire da se stesso, ragionando dalla vera essenza, cioè dal fatto che noi siamo relazione e che noi in quanto individuo possiamo essere tale perché siamo il risultato di un fascio immenso di relazioni sia interne che esterne a noi. Capendo questo dobbiamo interpretare il nostro bene nella direzione anche di tenere in armonia il bene altrui e il bene del pianeta. Salvare il mondo significa anche salvare noi stessi, perché io sono figlio del mondo. Se esisto è grazie alla materia, alla vita vegetale e animale. Salvare la vita animale e vegetale significa salvare se stesso”.

Elena Bucalossi

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