La ricca utopia per una povera realtà. Intervista alla scrittrice Maria Pace Ottieri

il 30/03/2009 - Redazione

Maria Pace Ottieri ha presentato a Chiusi il suo ultimo libro “Raggiungere l’ultimo uomo”. “Bunker Roy, un villaggio indiano e un diverso modo di crescere” è il sottotitolo dell’appassionato documentario ambientato in Rajesthan, una delle regioni più povere dell’India. La Ottieri nei 57 capitoli del reportage documenta con estrema lucidità e fermezza, le contraddizioni dell’India del boom economico. Il testo è denso di spunti per una seria riflessione sulle condizioni di centinaia di milioni di indiani che vivono con meno di 50 centesimi al giorno. Maria Pace Ottieri è convinta che“in India gli aiuti del governo e delle grandi organizzazioni internazionali non servono” perché – continua - “i milioni di dollari destinati a progetti calati dall’alto hanno prodotto solo una ininterrotta serie di fallimenti”. Spesso i soldi elargiti a pioggia “hanno alimentato la corruzione e gli sprechi”. La Ottieri con questo libro - testimonianza diretta sostiene che “sviluppo significa cambiare la vita delle persone, non costruire uffici simbolo”. Giornalista e scrittrice impegnata, Maria Ottieri è figlia d’arte, essendo nipote di Valentino Bompiani e figlia di Ottiero Ottieri. Tra le maggiori produzioni spicca “Quando sei nato non puoi più nasconderti” dal quale il regista Marco Tullio Giordana ha tratto l’omonimo film che affronta il tema dell’immigrazione.

Con quale spirito critico ha affrontato il viaggio che l’ha portata alla redazione di questo libro?
“Raggiungere l’ultimo uomo” è un documentario che racconta la storia di una comunità di contadini del Rajestahan in India, animati quaranta anni fa da un gruppo di giovani che venivano dalla città. Il progetto di questo gruppo la “Scuola dei piedi nudi” è riuscito a prendere forma e dare risultati. Il principio fondamentale è restituire ai poveri e a coloro che in India vengono chiamati “i poveri dei poveri”, la possibilità di risolvere il problema della povertà da soli, senza donazioni dall’alto”.
L’esperienza di cui parla nel libro è attuabile in altri Paesi?
“L’esperienza di cui parlo è legata a Paesi molto poveri, è basata sull’agricoltura. Comune in qualunque Paese può essere l’idea che bisogna osare e sfidare il buon senso, la realtà. L’utopia che oggi sembra ingenua e quasi stupida è invece un motore per sperimentare idee nuove e proposte concrete. Nel libro parlo della realizzazione di un’utopia, qualcosa che sembrava impossibile si è realizzata, i contadini ieri analfabeti, hanno messo in piedi cose prima inimmaginabili”.
Ha scritto interessanti analisi antropologiche e affrontato spesso il tema dell’immigrazione. Come interpreta l’attuale situazione italiana?
“Credo che sia d’obbligo fare una distinzione. Una cosa è la cronicità storica dell’immigrazione, fenomeno al quale dobbiamo rassegnarci, un’altra è la speculazione che ne viene fatta. Dieci anni fa erano gli albanesi, oggi sono i rumeni, in altre parole, sono speculazioni che servono moltissimo ai nostri schieramenti politici come posta in gioco. Le speculazioni politiche non hanno nulla a che fare con la realtà dell’immigrazione.”

Elisa Manieri

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