La scomparsa di Nico Orengo, giornalista, scrittore, poeta, ha colto di sorpresa quanti ogni sabato leggevano i suoi “Fulmini” sulla prima pagina dell’inserto settimanale Tuttolibri de La Stampa, di cui per anni era stato il responsabile. Le sue acute riflessioni, sempre sagaci e pertinenti, aiutavano la riflessione e la lettura. L’ultimo Fulmine letto, sabato scorso, era dedicato ai “book”, parola inglese che fino a qualche tempo fa indicava il libro nella sua accezione più magica di “custode dei saperi, della memoria e delle lingue”, e che ora (mala tempora currunt) per i giovani significa, invece, la propria “carta d’identità visiva” per sfondare nello spettacolo. Una qualunque ragazza di bell’aspetto e ambizioni non può non avere un book sotto braccio se vuole sfondare nel mondo della moda, dello spettacolo o, magari, della politica (sic). Con quest’ultima amara riflessione ci ha lasciati Nico Orengo, ligure d’origini e torinese di nascita e professione.
Guida all'andar lento - Confesso che dei suoi libri ho letto solo “Gli spiccioli di Montale” e “Il salto dell’acciuga” e di aver trovato in quelle pagine, colme di storia, di ricordi, di amore per la propria terra, una passione per la Natura e l’Uomo espressi con grande leggerezza e innocenza. Leggerezza e innocenza che si ritrovano nel leggere, o rileggere, il testo che scrisse nel 2001 appositamente per la Guida all’andar lento (Editore Gli Ori), un volumetto che quell’anno, come altre edizioni, ebbi a scrivere insieme agli amici Roberto Rossi e Anna M. Savelli. La guida era una bellissima intuizione di Mario Cristiani che, nell’ambito del progetto culturale Arte all’Arte, aggiungeva al catalogo della mostra che ogni anno portava giovani e straordinari artisti da tutto il mondo in provincia di Siena, anche la proposta di un itinerario, da farsi “lentamente”, attraverso le campagne del senese, alla ricerca dei prodotti che hanno fatto grande questa terra e, soprattutto, di storie di donne e uomini che ancora oggi mantengono viva questa tradizione.
Pinocchio e l'Artusi a San Gimignano - Il testo di Orengo (che purtroppo in occasione della presentazione del volume non ebbi modo di incontrare per ragioni dei suoi impegni) fu la ciliegina sulla torta, la rifinitura ideale, la migliore cornice per un lavoro che avevamo fatto per tutta l’estate per raccontare gli uomini e la natura delle nostre terre. Grazie alla sua penna, e alla sua fantasia, si poterono incontrare, sulla strada per San Gimignano, il Pinocchio di Collodi con il Pellegrino Artusi, maestro degli chef moderni. “San Gimignano era sopra la loro testa, stava lassù, come un sogno, un’onda di pietra, una rosa in attesa di perdere i petali, una stella affaticata da un viaggio troppo lungo, come lo sbadiglio di Venere, la melanconia di Achille” scrive Orengo nel descrivere il viaggio di avvicinamento alla città dei due “inediti” amici. “Qui – fa dire all’Artusi – sento profumo di pecorino, ricotta al forno, porcetto, latte crudo, olio, panforte, finocchiona, salame di cinta, farro e miele, caprini all’uva sul carbone. Artigiani che vanno recuperandoli, archeologi del gusto, filologi che al pari di me con tutte le pieghe nella vita del Foscolo che cercai di aprire allora, oggi al pari di me, allora, portano, anche innovando, alla luce. Capisci, Pinocchio?”.
Rimane il dispiacere di quell’incontro mancato per un soffio. Resta la consolazione di aver goduto per tanto tempo della sua penna, frutto di intelligenza e sensibilità rare.
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