Le riflessioni di Tozzi al tepore del sole

il 21/03/2011 - Redazione

Letteratura e primavera, parole e natura in un rapporto a volte idilliaco e a volte contrastante ma sempre in grado di far fiorire frasi ed emozioni in pagina. È anche il caso dello scrittore senese Federigo Tozzi. Qui di seguito un suo scritto tratto da “Bestie”.

“Un poco di primavera entro l'acqua della fontana; ma pareva che i fiori le fossero ostili e non ne volessero sapere. Le violette malcontente, i peschi sfioriti presto, quasi per far piacere al vento, qualche usignolo stonato; e il chiù non si sentiva mai. Le mattinate accosto alle sere come se fossero state legate per una ghirlanda, e il mezzogiorno sempre breve e rapido, benché con qualche raccoglimento abbastanza intenso verso l'ora del pranzo. Ma nessuna vera voglia di vivere: piuttosto una specie di scontentezza piacevole, con la quale stavo bene anche a finestre chiuse. Anzi le cose, di là dalla finestra, parevano più belle, come se fossero state troppo lontane o quasi di un passato commemorativo. E i suoni delle campane s'attaccavano e non venivano via più dai campanili; ed ero curioso di sapere perché. Troppa luce e troppo sole, che però mi facevano dimenticare meno le mie giornate fredde e tristi quando non si riesce né meno a immaginarlo più il sole!
Ma se guardavo l'acqua della fontana di marmo, a poligono, piena di alghe che si staccavano dal fondo per andare a galleggiare un poco alla volta, quasi salissero ad amoreggiare con il tepore del sole che combaciava con la superficie liquida, io vedevo e sentivo la primavera come forse mai più.
E allora non comprendevo le violette: ma soltanto il loro odore come una serenata alla luce. E la mia anima sopra quell'odore s'ingrandiva fino a sentirmela dentro i miei occhi. Ma i miei occhi erano attaccati all'acqua, con l'anima tutta a riverso per prendere un poco di sole e di luce; e sentivo, allora, una primavera paziente, tutta dipinta di silenzi casalinghi, e non volevo convincermi di trovarmi sempre solo, come se fossi andato a spasso e non avessi più voglia di tornare a casa.
Io sentivo che la mia faccia tentava in vano d'invecchiare la mia anima, e per questo io m'attaccavo all'anima. Ma tutto m'ero arso di me stesso, con una cenere che mi faceva lacrimare. Perché quel pesce rosso, nascondendosi sotto le alghe, guizzò?”.

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