Il dolore per la perdita di un fratello e la fierezza di portare in giro per un’Italia sempre più povera di valori l’esempio di un uomo che è morto per il suo impegno politico e civile. Sono i sentimenti che animano Dario Vassallo, fratello di Angelo, ucciso il 5 settembre 2010 a Pollica (Salerno) con sette colpi di pistola. E ad oggi non c’è una motivazione, non un colpevole per quell’omicidio, ma l’insegnamento di un uomo semplice che con il suo impegno ha trasformato un piccolo paese in un luogo conosciuto in tutto il mondo. Nei giorni scorsi Dario Vassallo ha presentato a San Gimignano “Il sindaco pescatore”, un ritratto pubblico e privato di Angelo, ma anche una riflessione sulla politica attuale e un insegnamento per i cittadini di domani. Perché il sacrificio di Angelo non sia stato vano.
Dopo l’omicidio di suo fratello ha scritto questo libro. E’ un modo per esorcizzare il dolore?
«E’ stata una scrittura catartica ma a convincermi è stata la voglia di raccontare Angelo. Era una persona splendida e completa, che sapeva essere un buon padre, un buon fratello, un buon amico e un buon amministratore. Qualità che, oggi, è sempre più raro trovare nelle persone».
Angelo era conscio del rischio che stava correndo?
«Penso di no e nemmeno noi. Angelo amministrava il suo paese come una buona famiglia. Ogni sua azione era mossa dalla cultura, oggi scarsa in molti amministratori, e dall’intelligenza. Ogni sua scelta era per un arricchimento non solo economico ma anche culturale del territorio. Angelo diceva sempre che oltre al Pil bisogna pensare alla qualità della vita della gente. Un fattore che, fino a qualche tempo fa, pochi amministratori prendevano in considerazione. Angelo lo predicava già 15 anni fa e io gli dicevo sempre che era avanti 15 anni rispetto a noi, persone normali. Sapeva infondere nella gente la sensazione che i sogni si possono realizzare e dava ai suoi cittadini questa speranza che nella maggior parte dei casi si concretizzava nella creazione di una famiglia, nella possibilità di avere una casa e trovare un posto di lavoro».
Quale è il messaggio che questo libro vuole trasmettere?
«Uno su tutti. L’idea che se c’è la buona volontà dell’amministratore, il nostro Paese può cambiare radicalmente. Uno come Angelo Vassallo e oggi non ce ne sono molti. Bisogna partire da una trasformazione culturale della gente comune e da un maggior impegno degli amministratori che devono fare i politici come una missione non come un lavoro. Ma gli italiani non sono ancora pronti. Bisogna lavorare sulla cultura, che è fondamentale per l’evoluzione di un Paese. Purtroppo la trasformazione non avverrà fintanto che la tv veicolerà l’idea che Dante firma la carta igienica e Garibaldi fa lo spot a un telefonino».
Gli italiani stanno dimenticando Angelo Vassallo?
«Assolutamente no. Solo gli stolti dimenticano. Ma in Italia c’è tanta gente perbene. La presentazione del volume a San Gimignano ne è un esempio. E a maggio valicherò i confini italiani. Il 15 il libro sarà presentato al Parlamento europeo come buon esempio e un modo diverso di fare politica. Quello dell’amministratore prestato alla politica per l’evoluzione di un territorio, non per fare il regnante e scegliere chi far diventare assessore e consigliere».
Come reagisce il pubblico alle presentazioni?
«Gli italiani, da Nord a Sud, esprimono grande commozione perché capiscono che abbiamo perso un grande uomo che poteva fare molto di più che il sindaco di un piccolo paese. Non bisogna morire per diventare qualcuno, o almeno non bisognerebbe morire per questo»
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