“Per non morire di mafia”, Sebastiano Lo Monaco al Mascagni di Chiusi il 31 gennaio

il 30/01/2012 - Redazione

«Finché la mafia esiste bisogna parlarne, discuterne, reagire. Il silenzio è l'ossigeno grazie al quale i sistemi criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e potere si rafforza. I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi». Lo ha scritto il procuratore antimafia Pietro Grasso nel saggio “Per non morire di mafia”, portato in scena nella versione teatrale al Mascagni di Chiusi da Sebastiano Lo Monaco. L’appuntamento è per martedì 31 gennaio alle ore 21,15. La regia è di Alessio Pizzech, la versione scenica di Nicola Fano, l’adattamento drammaturgico di Margherita Rubino, le scene di Giacomo Tringali, i costumi di Cristina Da Rold, le musiche di Dario Arcidiacono e le luci di Gigi Ascione.

Lo spettacolo - La trama ruota tutta intorno a precisi interrogativi: quando comincia la nuova mafia? Come ha cambiato la vita della Sicilia e dell’Italia? Che cosa ci resta ancora da fare e da sperare con sconfiggerla? Sono solo alcuni degli interrogativi che il procuratore nazionale antimafia si pone nel libro “Per non morire di mafia”. Questa versione teatrale del libro di Grasso è un ritratto, una discesa nel cuore vibrante del lucido pensiero di un uomo che sta dedicando la sua vita alla lotta contro il crimine per il trionfo della legalità. La piéce si dipana tra il momento didattico, quello comico e quello tragico nel senso antico della parola. Un dialogo lucido in cui i segni tracciati sulla lavagna diventano il concretizzarsi di un percorso di pensiero che scava nella memoria che fa della storia il proprio strumento di orientamento. Un pensiero assolutamente urgente e necessario che viaggia sul delicato binario della contraddizione. Un aspetto, quest’ultimo, che trova la sua sintesi nel senso del dovere, forte e al quale rispondere con una profonda e sana morale individuale. L’istante si allarga ad un gioco di sottile ironia che colora talora la narrazione. Il protagonista e narratore si pone al centro di una rivoluzione copernicana che ribalta la visione più praticata della mafia e del malessere sociale che avvolge il nostro paese. Come un nuovo Galileo, ci offre un telescopio per scrutare l’universo che ci circonda: ci permette di sapere. Un monologo che riconduce il teatro alla sua funzione civile ed evocativa. Un teatro capace di disegnare gli uomini, di delineare esperienze di vita che possano divenire modelli. Un teatro che senza intellettualismi vuole dare un contributo al recupero di un senso della civiltà.

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