Perché leggere i classici. Intervista a Luciano Canfora, filologo, storico e saggista

il 03/06/2011 - Redazione

Spesso oggi, nell’era dell’informatica e del multimediale, gli studi classici vengono visti come dei “dinosauri” appartenenti ad un passato da noi scollegato. Perché, allora, continuare a leggere la letteratura e il pensiero degli antichi Greci e Romani e studiare eventi storici lontani più di duemila anni? Lo abbiamo chiesto a Luciano Canfora (Bari, 5 giugno 1942), noto filologo classico, storico e saggista italiano. Laureatosi in Storia romana, ha conseguito poi un perfezionamento in Filologia classica presso la Scuola Normale di Pisa. Nel 2000 ha ricevuto la medaglia d'oro del Presidente della Repubblica per benemeriti della cultura. Attualmente è professore ordinario di Filologia greca e latina presso l'Università di Bari. Classicista tra i più autorevoli in Italia e sulla scena internazionale, è autore di moltissime pubblicazioni sul mondo antico. Da ricordare: I classici nella storia della letteratura latina (con R. Roncali. Laterza 1994); Storia della letteratura greca (Laterza 2001); La democrazia. Storia di un'ideologia (Laterza 2004); Esportare la libertà. Il mito che ha fallito (Mondadori 2007); La storia falsa (Rizzoli 2008).

Professor Canfora, perché lo studio dei Greci e dei Romani giova all'intelligenza dei moderni?
“Perché la consapevolezza si consegue attraverso la comprensione delle differenze”.
La storia è maestra di vita secondo Cicerone. Come possiamo guardare i fatti storici dei Greci e dei Romani per non vederli oramai scollegati dalla nostra era?
“Se Machiavelli si forza di farsi capire, quando tratteggia “il principe”, ricorrendo all’esempio del duca Valentino non meno che ad Agatocle e a Ciro il grande vuol dire che c’è una continuità di dinamiche che conviene conoscere e comprendere”.
3-Ma, per esaminare coloro che per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, affermo che i più eccellenti sono Mosè, Ciro, Romolo, Teseo e simili. E, benché di Mosè non si debba ragionare, essendo stato un semplice esecutore di decisioni prescrittegli da Dio, tuttavia deve essere ammirato soprattutto per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno conquistato o fondato regni; li troverete tutti ammirevoli: e, se si considerano bene, le loro azioni e le loro istituzioni sembreranno non dissimili da quelle di Mosè che ebbe un così grande precettore. Esaminando le azioni e la loro vita, si vede che essi non hanno ricevuto dalla fortuna altro che l’occasione per introdurre negli Stati quegli ordinamenti che parvero loro più opportuni; senza quella occasione, la loro virtù si sarebbe spenta, e senza quella virtù l’occasione sarebbe arrivata invano. 4 - Era dunque necessario che Mosè trovasse, in Egitto, il popolo d’Israele schiavo e oppresso dagli Egiziani, perché, per liberarsi dalla schiavitù, si disponesse a seguirlo. Era necessario che Romolo non fosse accolto in Alba e fosse stato abbandonato alla nascita, perché diventasse re di Roma e fondatore di quello Stato. Bisognava che Ciro trovasse i Persiani malcontenti dei Medi e che i Medi fossero diventati deboli ed effeminati a causa della lunga pace. Non avrebbe potuto Teseo dimostrare la sua virtù, se non avesse trovato disuniti gli Ateniesi. Queste occasioni, pertanto, resero felici quegli uomini e la loro eccellente virtù fece sì che l’occasione fosse conosciuta, per cui la loro patria ne fu nobilitata diventando prospera e potente. 5 - Coloro che diventano principi per virtù, simili a costoro, conquistano il principato con difficoltà, ma con facilità lo conservano: e le difficoltà che incontrano nel conquistare il principato, nascono in parte dai nuovi ordinamenti che essi sono obbligati a introdurre per fondare il loro regime e la loro sicurezza. (Machiavelli – Il Principe VI, 3-5)
Il teatro greco era “riflessione collettiva” per la polis. Perché la nostra società di oggi non possiede più un momento di “collettiva riflessione” come era invece il teatro greco?
“Per la stessa ragione per cui la politica nella polis si svolge in forma diretta, nell’assemblea di tutti, mentre nelle grandi realtà moderne si rendono necessarie forme di rappresentanza e di delega. Ma il cinema, comunque, è oggi altrettanto pervasivo che il teatro nelle società arcaiche”.
Le commedie di Terenzio, il Menandro latino, ci parlano dei problemi della coppia, dei rapporti tra genitori e figli, dei problemi educativi e dei conflitti psicologici. Leggere Terenzio, dunque, ci può ancora aiutare, oggi, a conoscere noi stessi, a migliorare la nostra interazione quotidiana con gli altri e a prendere coscienza del nostro carattere e dei nostri buoni sentimenti?
“Tutta la poesia antica, non solo Menandro, affronta siffatti problemi: già l’Iliade, a ben vedere”.
Dunque gli venne incontro, e con lei andava l'ancella,
portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino,
il figlio d'Ettore amato, simile a vaga stella. […]
Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio:
ma Andromaca gli si fece vicino piangendo,
e gli prese la mano, disse parole, parlò così:
"Misero, il tuo coraggio t'ucciderà, tu non hai compassione
del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto
sarò, presto t'uccideranno gli Achei […]”.
E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:
"Donna, anch'io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra. […]”.
Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa
il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso,
sorridendo fra il pianto; s'intenerì lo sposo a guardarla,
l'accarezzò con la mano…
(Omero – Iliade VI)

Duccio Rossi


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