Perché leggere i classici. Parla Salvatore Settis, la cultura classica in termini di specificità non di superiorità

il 31/08/2011 - Redazione

Salvatore Settis, professore di Storia dell’arte e dell’archeologia classica presso La Scuola Normale Superiore di Pisa e Direttore del LARTTE (Laboratorio Analisi, Ricerca, Tutela, Tecnologie ed Economia per il patrimonio culturale), risponde ad alcune domande sull’utilità di leggere i classici greci e latini oggi. Settis è stato Visiting Professor in varie università europee e americane, Preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, Preside della Classe di Lettere alla Scuola Normale Superiore, Direttore della Normale dal 1999 al 2010. I suoi interessi di studio e di ricerca riguardano principalmente la storia dell’arte antica, la storia della tradizione classica e la storia dell’iconografia e dell’arte religiosa in Europa dal Medioevo al Seicento. Tra le sue innumerevoli opere ricordiamo: La colonna Traiana, Torino, Einaudi 1988; Laocoonte. Fama e stile, Roma, Donzelli 1999; Civiltà dei Romani, Electa, Milano, 1990-1993; I Greci. Storia, cultura, arte, società, Torino, Einaudi 1996-2002; Futuro del "classico", Torino, Einaudi 2004; Artisti e committenti fra Quattrocento e Cinquecento, Torino, Einaudi, 2010.

Professor Salvatore Settis: perché leggere i classici oggi? – “Perché sono simili a noi. Ma soprattutto, perché sono diversi”.

Per Marco Aurelio la filosofia è la capacità dell’anima di ritirarsi in se stessa. Egli scrive infatti: “Guarda dentro di te: dentro di te è la fonte del bene sempre capace di zampillare, se sempre saprai scavare in te stesso”. Le chiedo dunque: l’uomo a noi contemporaneo è ancora capace di guardare dentro se stesso? Ha ancora tempo per la riflessione? E soprattutto: i classici possono davvero farci riscoprire un importante colloquio con noi stessi? – “Al tempo di Marco Aurelio come al nostro, non tutti si fermano a riflettere, ma i migliori lo fanno. I classici greci e latini possono ispirare riflessioni significative a patto che non li proiettiamo fuori della storia; a patto che ci ricordiamo del loro valore fondante per la civiltà europea di cui facciamo parte, ma che siamo –anche—capaci di intenderli nella più vasta tessitura delle culture umane, anche le più remote, dalla Cina all’India, all’America precolombiana, all’Africa, al Giappone. E’ in un contesto più ampio, imposto dagli orizzonti del nostro tempo, che la cultura dei Greci e dei Romani può degnamente risaltare, in termini di specificità e non di “superiorità”.

Secondo Protagora e i Sofisti “l’uomo è misura di tutte le cose”. Oggi viviamo in un mondo dove ci sono milioni di uomini con migliaia di “misure” tutte diverse. L’insegnamento di Protagora è dunque oggi più attuale che mai? – “Certo. Ma ciò che l’uomo di oggi deve saper “misurare” è prima di tutto se stesso, la storia, identità e aspirazioni della propria cultura a confronto con tutte le altre”.

Le città greche erano città indipendenti l’una dall’altra, città stato a tutti gli effetti e spesso in guerra le une contro le altre. Quando però un nemico esterno minacciava la Grecia, esse sfoggiavano il loro senso di unità culturale e combattevano tutte assieme contro il nemico comune per difendere la Grecità. Dunque, dal punto di vista della coesione nazionale, dell’identità culturale e dell’interesse collettivo la storia greca ha ancora da insegnarci qualcosa? – “Non furono solo le città greche a elaborare un concetto alto e forte di ‘bene comune’, o di “publica utilitas”, ma anche il diritto romano, anche la tradizione giuridica italiana ed europea dal Medio Evo in qua. Rischiamo oggi di smarrire questo senso: ma perdere il senso dell’interesse collettivo vuol dire perdere l’idea di cittadinanza, di libertà, di democrazia: quella che, a parole, diciamo di voler non solo difendere ma esportare”.

Nel Critone platonico Socrate spiega il motivo per cui non è giusto fuggire di galera pur essendo stati condannati a morte ingiustamente: il rispetto delle leggi viene prima di tutto, ancor prima della vita stessa. Oggi la nostra società sembra darci invece esempi ben diversi da quello socratico, e qualche volta addirittura opposti. Leggere Platone, Aristotele e tutti i grandi del pensiero antico ci può aiutare davvero a migliorare il nostro comportamento etico, la nostra idea riguardo al rispetto delle istituzioni e delle leggi? Oppure questa funzione dei classici è un’utopia? – “Esempi di alta eticità si trovano nei classici greci e latini, si trovano nel Vangelo, si trovano in tutte le letterature. Il punto è che non basta additare nel passato storie e figure esemplari: bisogna costruire l’esemplarità del presente, ed è a questa responsabilità che a quel che pare oggi tendiamo a rinunciare. Un concetto ricco e pluralistico di ‘classicità’, che sappia intavolare un dialogo costante fra le culture di tutto il mondo, di ieri e di oggi, può aiutare a isolare le miserie morali che ci circondano, a capire che il loro apparente trionfo è effimero, e domani si capovolgerà in un perpetuo giudizio di condanna”.

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Il libro da consigliare ai lettori - “Il Genji Monogatari. La Storia del principe splendente” di Murasaki Shikibu

Leggere è... Dialogare con altri uomini e donne, sentirli insieme simili a noi, diversi da noi

Duccio Rossi

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