In un’epoca in cui gli affezionati di social network si sfidano in rete in un gioco che è sostanziale evoluzione dell’antesignano Scarabeo, c’è chi preferisce andare a scandagliare il passato per riscoprire quelle parole e quelle tradizioni che, in Toscana, hanno dato vita alla lingua Italiana. E’ il caso di Alessandro Bencistà, insegnante in pensione, studioso di lingue e tradizioni popolari, che ha scritto il “Vocabolario del vernacolo Fiorentino e Toscano” (Sarnus). Il dizionario riporta migliaia di voci – da “Abbacare” a “Zuppa” – utilizzate nelle diverse zone della regione, spiegandone il significato e indicandone la provenienza. Un dizionario e un libro tutto da leggere anche per gli affezionati di social network in attesa che anche i più moderni giochi in rete si adeguino alle tradizioni.
Come nasce l’idea di dedicare un vocabolario al vernacolo?
“L’idea risale a 30 anni fa. Io nasco come demologo, studioso di tradizioni popolari toscane e fiorentine soprattutto, e una delle tradizioni fiorentine più celebri è il contrasto in ottava rima, la poesia estemporanea. Scrissi un primo glossario nel ‘82-‘83 relativo al recupero di due poeti estemporanei che avevano pubblicato dei dischi 45 giri in ottava rima e mi venne l’idea di scrivere per recuperare questa loro parlata vernacola. Poi dopo venne il vocabolario di Greve in Chianti di cui sono originario, conosco bene il dialetto della campagna, della città e degli artigiani. Dopo questo ho scritto il Vocabolario del vernacolo fiorentino che ha avuto tre edizioni e poi mi è stato chiesto di estenderlo a tutto il territorio regionale e mi sono reso conto che molte delle parole che ho considerato (oltre 4500 lemmi) si riscontrano anche in altre parti della Toscana”.
Questo è anche un tuffo nel passato. Quale è stata la scoperta più curiosa?
“Un tuffo nel passato e uno scavo nella memoria. Io sono nato in mezzo a contadini e artigiani e quando sono arrivato all’università non ho dovuto imparare più niente, il mio materiale linguistico era già definito. Ho dovuto solo estendere e continuare questi studi. Ma ci tengo a precisare che molti studiosi della lingua attuale, ricercatori, vocabolaristi sono giovani che vanno a intervistare gli anziani, le massaie. Io dico sempre che io sono il nonno, la massaia, il vecchio, anche per età anagrafica, ho più di 70 anni, e il vernacolo è un linguaggio che ho sempre parlato”.
Andare a riscoprire il vernacolo ai tempi della globalizzazione linguistica oltre che culturale che significato ha avuto?
“Io ho insegnato per 45 anni nella scuola pubblica e ho un ricordo e una frequentazione dei giovani che mi ha portato a conoscerli e scoprire come pian piano questo nostro vernacolo stia scomparendo. Ma i giovani sono molto attenti a questo cambiamento e creano un loro linguaggio. Ricordo che in una rappresentazione teatrale allestita a scuola durante un rap fu usato l’espressione “m’hanno segato” , in antico voleva dire segare la legna oggi vuol dire essere bocciato a scuola. I giovani sono attenti al cambiamento anche se questo ha portato più allo sviluppo di un linguaggio digitale che verbale”.
Quindi il rap è l’evoluzione dell’ottava rima?
“Certamente. Nel 1994 quando curai un volume sulla poesia dei giorni d’oggi dal titolo “I bernescanti”, una giornalista lo chiamò il “rap maremmano” perché la Maremma conserva ancora oggi forse un numero maggiore di questi poeti in ottava rima che si riuniscono la sera nei ristoranti e nelle cantine e poi sono celebri gli “incontri di Ribolla” che si tengono da 20 anni sulla poesia estemporanea come si faceva una volta”.
C’è chi sostiene che la Toscana sia la culla della lingua italiana. Lei condivide questo pensiero?
«Il vocabolario del vernacolo fiorentino ha per sottotitolo “Da Dante a Benigni” e sotto ogni lemma c’è la dimostrazione di quando è stata pronunciata e chi l’ha scritta. Quando cominciai quel libro, Prato era ancora provincia di Firenze, oggi tendono a staccarsi, però queste voci si ritrovano già nel linguaggio del Duecento e del Trecento. “Innanzi che più andi”, per esempio, è congiuntivo presente che è diffuso in gran parte della Toscana».
Da Dante a Benigni quale è stata l’evoluzione del vernacolo e della lingua italiana?
“Quando Dante sceglie di scrivere la “Commedia” nel linguaggio delle donne fiorentine è già una scelta rivoluzionaria. Poi la combinazione che proprio a Firenze, metropoli più importante della penisola, nascano Dante, Petrarca e Boccaccio ha fissato il dialetto fiorentino come lingua italiana. Tullio De Mauro diceva che gran parte del linguaggio d’uso è già nella Divina Commedia”.
Cristian Lamorte
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