Vuol anzitutto essere un agile profilo biografico, scritto con misurata arguzia e piglio narrativo, l’elegante libretto preparato con cura da Luigi Oliveto (Giosuè Carducci una vita da poeta). Che è anche un invito a riscoprire un autore verso il quale si registra da tempo un’indubbia caduta di attenzione. Perché questa (relativa) dimenticanza, avvertibile anche nel quadro delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità (monarchica e istituzionale) d’Italia? Eppure se c’è un poeta che ha dedicato con forsennato impegno la massima parte della sua opera all’epos nazional-patriottico è lui.
Il senso della storia di Carducci si tradusse in un pedagogico repertorio di quadri esemplari, in una galleria di eroiche personalità. Straordinario fu invece il suo ruolo nell’incitare ad una ricognizione filologica delle vicende che, secolo dopo secolo, avevano dato fisionomia e fascino alla plurale Italia per molti da esplorare come una terra sconosciuta. Come far oggi biografia – una nuova, svelta biografia – di un personaggio tanto celebrato? In fondo quel che conta è stabilire un rapporto reciprocamente funzionale tra dati e testi, tra accadimenti e parole, tra date e opere. Non servirebbe a nessuno un vano gossip molto postumo. Oliveto completa il piccolo volume – una guidina da portarsi dietro per seguire itinerari e momenti chiave – con una breve rassegna della fortuna critica e con un’essenziale antologia. E tratta la materia biografica con la dovuta leggerezza, scartando sia la strada di una dettagliata biografia intellettuale sia la sequenza di accattivanti aneddoti.
Nonostante il fervido nazionalismo proclamato fin dagli anni giovani, Carducci fu profondamente influenzato dal pensiero democratico francese: non è neppur pensabile senza Michelet, Proudhon, Quinet, Heine e Hugo. Lancinante fu in lui come in tanti contemporanei la delusione del post-Risorgimento. Si direbbe che quasi inauguri quella “letteratura dello sdegno” che in Toscana vanta molti nomi illustri: dal bonario Giuseppe Giusti a Indro Montanelli, da Giuseppe Prezzolini e Mino Maccari: anarcoidi e al tempo stesso conformisti, ribelli e uomini d’ordine. E anche lui: giacobino e massone, di accesi sentimenti repubblicani e di assoluta lealtà monarchica, sempre e sapientemente letterato, artiere di classicistici virtuosismi: “le alterne scelte politiche del Carducci – scrive Oliveto – rispecchiarono la parabola di una intera generazione di intellettuali italiani, che da giovani rivoluzionari divennero invecchiando monarchici conservatori”.
Le donne delle sue avventure sfilano a segnare come simboli idealizzati le età delle sua ruggente vita. Dalla quasi-cugina Elvira Menicucci, conosciuta quindicenne e sposata il 7 marzo 1859 e ben presto relegata nel’ombra a Annie Vivanti, la sofisticata compagna degli ultimi anni, quando sente il bisogno di tornare spesso in Maremma a respirar la fresca aria di gioventù, con moti di spropositata nostalgia. “Io sono stato a lungo – scrive ad Annie il 26 ottobre 1894 – in Maremma. Non più né anche un lupo. Dove quei poveri animali venivano a frotte nella sera urlando, ora fioriscono le viti – ingiallite a questi giorni – e i ragazzi suonano il mandolino. Le vecchie querci secolari furono abbattute a suon di violino, or sono più anni, e da per tutto olivi, frumento e orti. Solo nell’alto il verde cupo dei boschi; e qualche vecchio cignale, noiato del mondo, vi si ritira […] Non più bufali. Peccato! Qualcosa manca. Ma il vino è in gran copia e bonissimo”. E, com’è sacrosanto e doveroso, dalle sue parti lo considerano ancora un nume tutelare, al quale rendere cadenzati omaggi. Alla presentazione del libro di Oliveto, tenutasi a Castagneto davanti ad un folto pubblico nel giorno del 176° compleanno, dopo i consueti discorsi non sono mancati taglio della torta e calorosi brindisi con un vino certo migliore di quello apprezzato dal Vate. In prima fila i discendenti di Maria Rosa Banchini, la bolgherese “bionda Maria” dal “fianco baldanzoso” del famosissimo idillio.
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