Affinati fa l’appello di “Tutti i nomi del mondo”

Luigi Oliveto

08/02/2018

Eraldo Affinati è insegnante e scrittore, e le due attività rispondono in lui a un’unica vocazione pedagogica. Lo testimonia anche l’ultimo suo libro intitolato “Tutti i nomi del mondo”. Laddove i nomi, alla maniera di un appello scolastico, sono quelli di alcune persone incontrate lungo la vita dal protagonista (non a caso un insegnante) che lo hanno segnato particolarmente. Egli sente di dover fare questo appello, pur consapevole dei rischi cui verranno sottoposti i sentimenti, i pensieri, le acquisite visioni del mondo. Tant’è che sarà necessaria la presenza di qualcuno che possa sostenerlo, tutelarlo: Ottavio, un ex alunno pluriripetente che parla solo in romanesco e che ha un’idea, una sua verità sulla vita, molto prammatica e spesso discutibile (“A professo’, io da solo nun te ce lasso. Ottavietto tuo te resta appiccicato addosso. Te faccio da guardia der corpo. Me ne sto qua dentro a’a parentesi, nun te preoccupà. ’Nzieme a te attraversamo l’arfabbeto”.) Il singolare registro di classe contiene ventisei nomi, tanti quante sono le lettere dell’alfabeto. Vecchi amici ormai fuori dai radar della vita, i nonni evocati con struggente tenerezza, ragazzi di periferia smargiassi e fragili, giovani profughi con impresso negli occhi la fame e le guerre da cui sono sfuggiti (come gli studenti della Penny Wirton, la scuola gratuita di italiano per immigrati che Affinati ha fondato a Roma insieme alla moglie Anna Luce Lenzi). Dietro a ogni nome una persona, una storia, un’avventura. Il professore li convoca al Colle Oppio di Roma, affinché ciascuno racconti cosa ne è della propria esistenza. Ne esce così un quadro dell’oggi e un confronto sui grandi temi: il senso di responsabilità, della giustizia, dell’etica, della libertà, dell’impegno politico; i valori religiosi, filosofici, educativi; l’incontro con le molte alterità. Ecco, dunque, la ragione di questo appello, poiché – dice il protagonista – “se non ci foste stati voi, non sarei me stesso”.
 
 
Abdelaziz! Presente.
     Bakary! Vieni avanti.
     Coulibaly! Dove sei?
     Diarra! Mi ascolti? Eleonora! Rispondi!
     Stiamo facendo l’appello.
     (A pensacce me s’ariccia er pelo.)
     Amici, parenti, antenati. Scolari. Una comitiva dispersa che, di colpo, senza preavviso, ricompare. Gente con cui, in un modo o nell’altro, ho avuto a che fare.
     (Ma loro te vedeno, sì?)
     Alzano le mani in segno di saluto, oltre i giardini di piazza Vittorio. A Roma. Dove tutto è cominciato. E, comunque vada, finirà.
     (Ariècchice! Semo noi! Ce stai a vedé?)
     Cerco di capire quello che ti dicono decifrando il labiale. Lalìn, e’ me burdèl! Nonna, che bello rivederti in via Filippo Turati! Bamboccio, viè ’n po’ qui, allora sii ttu mi’ nipote? ’O figlio ’e Fortunato?
     (A professo’, t’aricordi puro de me? So Ottavietto, er ripetente!)
     Presenza, visioni, deliri, sagome di teatro. Vogliono entrare nel registro. In realtà sono io a desiderare che ciò avvenga. Ma non è la stessa cosa?
     (Dimmi se ho ’nteso: se dovemo spartì er peso der passato?)
     Te lo devi distribuire bene sul groppone, insieme a quelli che sono stati vicini a te, altrimenti da solo rischi di rimanerne schiacciato. Lo sai cosa ti aspetta, vero?
     (Come no? Mo’o posso immaginà.)
     Sarà tutto un gioco di frasi, virgole, punti, lacrime, sorrisi, pomeriggi trascorsi davanti all’immagine che ti sei costruito. Vertigini. Passioni. Amarezze. Disincanti.
     (E che vor dì? Che nun te frega più gnente, ve’?)
     Una lotta cruenta. Una catastrofe di buone intenzioni.
     (’Na monnezza.)
     Cicatrici, rossori, ferite, compiti sbagliati, errori segnati con la matita rossa. Bisogna saltare sui carboni ardenti. Rovesciare il bando. Ci siamo mischiati talmente tanto che adesso non sappiamo più distinguere gli uni dagli altri.
     (Se confonnemo.)
     Queste persone sono fuori o dentro me stesso?
     (Rispònnete da solo che si ce provo io me se brucia er cervello.)
     Apri i cassetti, tira fuori le schede. Schiaccia il timbro sul foglio.
     (Facce sentì chi sei!)
     Abdel ha una banda bianca avvitata sui fianchi, come un torero. Sta consegnando le tazzine del caffè Illy ai tavolini del bar all’angolo, sotto il portico.
     (Fatte dà ’e mance!)
     Poco più in là, Bostan fuma una Marlboro appoggiato al cancello della Porta Magica. Ieratico, solenne, riflessivo. Sorride da una lontananza antica, quasi sapesse cose che io ignoro e lui non può rivelare.
     (Sta’ ’n campana!)
     Costantin, seduto vicino al fioraio, gli occhiali da sole della Persol, sembra un modello: magro, alto, biondo, occhi azzurri. Nel pugno stringe un fascio di fili elettrici. È stato assunto come operaio all’Enel.
     (Beato lui!)
     Poi c’è Daba che ha in tasca il piccolo Corano. Recita le cinque preghiere quotidiane.
     (Nun ce posso crede! Adesso sta a fa er diggèi a Torpignattara, giusto?)
     Era’, ’o vedi? Te stamo a festeggià, esclama Erminio, il compagno paralizzato sulla sedia a rotelle.
     Àmo diviso er banco de scòla.
     Abita al Tuscolano, come una specie di eremita.
     Nun me batti er cinque? Avvicinate, ch’io nun c’ariesco. Sò rimasto così, tipo’n torsolo. Robba de quarantacinque anni fa. Una voragine.
     Vicino a lui ammicca Felicity, con la bambina in braccio, attaccata al seno. Sono un corpo unico: la conchiglia della lumaca. La crosta sulla ferita.
     (Madre e fija!)
     La basilica di Santa Maria Maggiore sembra una sentinella in alta uniforme.
     (A professo’, pe’ capitte dovemo annà a ripijà l’appunti.)
     Fra la gente che vuole farsi vedere spunta Alfredo Cavina, partigiano della 36ᵃ brigata Garibaldi: mio nonno. Ha la testa crepata col buco in fronte. Pronuncia una battuta, ma è come se avessero abbassato l’audio. Canta Bella Ciao o recita il Salve Regina?
     (Stùrate ’e recchie!)
     Trattengo a stento l’emozione nel vedere accanto a lui la nonna Rosina, piccola e dolce. Col dito indice traccia il segno della croce sul mio ginocchio sbucciato.
     (Mettece ’a pomata che te conviene!)
     Ilario, militante di Casa Pound, esce sicuro e un po’ sfrontato dalla stazione della metropolitana. Indossa anfibi e calzoni militari. Sullo zaino ha inciso la croce celtica.
     (A pischelle’, nun te dà troppe arie!)
     Proseguo verso via Merulana, frastornato ma ancora abbastanza lucido per non farmi travolgere dalla moto che schizza dietro di me. Un cinquantino con la marmitta in titanio della Arrow a becco ricurvo.
     (’Na bomba.)
     Il rumore assomiglia a una scarica di mitragliatrice. Giovanni! Lo chiamavamo tutti Jan. Scivolò sulla discesa di Palombara Sabina nelle stesse ore in cui noi eravamo riuniti nei consigli di classe. Lo avevamo promosso senza dargli neppure un debito.
     (Nun era servito a gnente.)
     Mi disseto alla fontanella di San Vito.
     (’No strapiombo.)
     Quando alzo gli occhi, chi arriva? Kim, col sorriso indimenticabile del ragazzo destinato al massacro. Camicetta a fiori sotto il gilet di velluto e pantaloni di terital, come la sera del suo compleanno quando lo incontrai prima che andasse in discoteca. Mi vorrebbe consegnare qualcosa. È un foglio protocollo stropicciato: il tema che non riusciva mai a terminare in tempo utile.
     (Me viè da piagne.)
     Dove siete finiti tutti quanti?
     (Famme capì: ’ndo se trovamo?)
     Nella lunga spiaggia prima dell’alta marea dove un giorno, riconoscendoci, ci abbracceremo?
     (Te sei visto troppi firme.)
     Nel magazzino in cui gli scrivani registrano gli arrivi?
     (Te sei letto troppi libbri)
[…]
 
[da Tutti i nomi del mondo di Eraldo Affinati, Mondadori, 2018]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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