Babysitter. Il romanzo potente e destabilizzante di Joyce Carole Oates

Marialuisa Bianchi

25/07/2023

Ogni nostra azione (involontaria) (volontaria) conduce a (una) morte, inevitabilmente. L’unica variante è quando. “Babysitter” (La Nave di Teseo) di Joyce Carole Oates è un romanzo potente, destabilizzante che sicuramente turberà chi lo legge, specialmente le donne. Temi legati al razzismo, al sessismo, alla maternità, all’ipocrisia, e scritto in una lingua magnifica, poetica e immaginifica. Quello che è certo è che non ci lascia indifferenti. Ispirato a vari fatti di cronaca americana recenti, ma ambientato negli anni Settanta in una città che aveva visto scontri e difficoltà sociali: Detroit, la città delle auto, simbolo del mito americano.
 
La protagonista è Hannah, una donna ricca con due figli e un marito piuttosto indifferente. Si consola acquistando abiti costosi, perché la bellezza è un’armatura. Cappotto di cashmere, scarpe nuove in pelle di serpente e sciarpe di seta Dior per frequentare associazioni benefiche. Ama tantissimo i suoi figli, forse perché da piccola ne ha ricevuto poco di affetto. Da bambina si tormentava chiedendosi se, nel guardarsi allo specchio, un giorno non ci sarebbe stato nessuno a restituirti lo sguardo… proprio per questo si dedica anima e corpo ai suoi due bellissimi figli, di cui va orgogliosa. Una volta che si diventa madre – non si può più tornare indietro. Una volta che l’amore zampilla come da un’arteria scoppiata – non si può più tornare indietro. Che fragile imbarcazione – la famiglia. Che atto disperato impedire alla famiglia di precipitare nelle ruvide, devastanti acque dell’oblio, un’imbarcazione fragile tenuta assieme dall’amore.
 
Eppure, nonostante le premesse, Hannah si trova per caso (ma il caso esiste davvero?) invischiata in una relazione tossica. Non gli si era contrapposta, temendo per la sua vita, e aveva assecondato la sua virilità bramosa di lusinghe, si era umiliata per potere sopravvivere svuotata di ogni volontà, l’istintiva strategia femminile, la disperata strategia femminile, l’avevano salvata. Ma dopo? Perché tornare? Joyce Carole Oates sa scandagliare le pieghe della psiche femminile e scavare nella personalità di Hanna, ma anche di altre vittime, per lo più bambini, che compaiono nel romanzo. Hanna è divisa fra l’amore materno fortissimo e il bisogno di essere “vista” e desiderata, sentirsi viva. Un grosso nodo che caratterizza lei, ma anche altre donne vittime come ben sappiamo di femminicidi e violenze. Il piacere che quest’uomo, che a malapena conosceva, le ha dato era indistinguibile dal più straziante dolore, una parte di lei lo aveva odiato, eppure era stata perseguitata dal ricordo di ciò che lui le aveva fatto sentire, incantata. Hannah cancellata, nella sua totalità. Qual era il suo più profondo desiderio, non essere? Sente una disperata forma di desiderio verso Y. K. Perché non si può negare: Y.K., ingannando, determinato a sfruttarla, a ricattarla, l’aveva resa comunque follemente felice. Le aveva dato una ragione per essere.

Quella è l’ultima, indicibile vergogna, che non può condividere con nessuno. Che, nonostante tutto ciò che sa del suo amante ora, lei lo ricordi con quella sensazione di malata, irrequieta impotenza che rappresenta la più profonda esperienza della sua vita emotiva. Una voce pietosa, piagnucolosa: dopo aver perso ogni dignità, e consapevole di questo Hannah piange come una bambina il cui cuore è stato spezzato, per qualcuno per cui non c’è speranza. Hanna deve recarsi al pronto soccorso e lì si innesca una vicenda di razzismo contro un uomo di colore che si trovava al parcheggio e viene ingiustamente accusato e poi ucciso dai poliziotti. Non verranno trovate armi nel vicolo, non verranno trovate armi dentro la casa di Zekiel Jones. Nessuna “sostanza stupefacente” a eccezione delle pillole per la pressione sanguigna in possesso della nonna. È come se fossimo tenuti in ostaggio dentro le nostre vite. Dentro la nostra pelle bianca. Hannah si chiede se sia vero, quello che ha temuto – suo marito (bianco) la incolpa, per essere stata violata da un uomo (nero). Convinto che i suoi amici (maschi) lo compatiscano, e parlino di lui alle sue spalle. I suoi soci, i suoi colleghi e (persino) i suoi impiegati. È questa l’angoscia del marito che gli impedisce di prenderla per mano e starle vicino?
 
Tutto questo per l’incontro altamente pericoloso di Hanna con lo sconosciuto di cui sapremo l’identità e altro nel finale. Quanto stupida potevi essere per credere che io amassi te. Ma qualcosa doveva significare per lui! Una minima parte. Sì, ne è certa. E le bellissime perle regalatele dalla nonna hanno cominciato a perdere lucentezza. Hanno cominciato a perdere speranza. Sono al principio del loro declino, come un amore deragliato. A questa vicenda si intrecciano altre storie terribili che gettano una luce lugubre sui ricchi abitanti di Detroit. Una serie di omicidi seriali su bambini e adolescenti, l’autore viene denominato da un giornalista Babysitter. Questo è l’elemento di cronaca nera da cui parte l’autrice, senza risparmiarci spietate descrizioni e la cura nel comporre i corpi, come una crudele parodia dell’accudimento materno. Quando sono stato preso è stato un istante. Quando sono stato preso è stato tra un respiro e quello seguente. Quando sono stato preso ero sul sentiero mentre Lupa trotterellava davanti.
 
Esiste una connessione causale che, una volta innescata, sembrerà essere stata inevitabile, eppure, al momento, è interamente affidata all’improvvisazione. Le persone hanno bisogno di minimizzare le profonde esperienze emotive categorizzandole, dando loro un nome. ‘Infatuazione’ – ‘amore a prima vista’... l’occhio vede le perle, non il filo che le tiene assieme. Ogni perla perfetta, splendida. E il filo che le lega invisibile. Lui è diventato il filo, che tiene assieme i giorni di Hannah. Minuscole isole di felicità, una sequenza di ore. E tutte segrete. Senza il filo, le perle si disperderebbero, scagliate in decine di direzioni. Senza il filo, il caos. Un romanzo molto duro e difficile da digerire, spietato, estremamente accurato e come tutti i buoni romanzi non fornisce riposte, ma si apre a interrogativi inquietanti.
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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