La portalettere. Una storia di emancipazione femminile

Luigi Oliveto

02/03/2023

Il romanzo d’esordio di Francesca Giannone “La portalettere” (Editrice Nord) a momenti sembra scritto sul retro delle pagine di un libro di antropologia. Offre, infatti, il penetrante spaccato di una comunità del Sud italiano – il paesino di Lizzanello, nel Salento – a partire dai primi anni Trenta fin sulla soglia dei Sessanta del secolo scorso – visto attraverso le vicende di una famiglia, ma soprattutto di una donna, protagonista principale e chiave di lettura di quel mondo che fu. La storia inizia in un pomeriggio del giugno 1934 con un’arrugginita corriera che ferma nella piazza del paese e da cui scendono Carlo, Anna e il loro bambino. Per lui è un ritorno alle origini. Emigrato in Piemonte, poi in Liguria, è felice di ricongiungersi alle proprie radici. Vestito di tutto punto è il primo a scendere dall’autobus. È scirocco, fa caldo, riconosce l’aria di casa e se ne compiace. Altra cosa è per Anna, donna del Nord che ha lasciato i suoi luoghi, un lavoro di maestra, e non sa (o forse sa) ciò che l’aspetta. Lei è “la forestiera”, e tale rimarrà per il resto dei suoi giorni: proveniente da un altrove non solo geografico, ma di pensiero, mentalità, libertà d’animo e d’azioni. Come quando vince un concorso per portalettere, un lavoro da uomini per il quale – le dice il marito contrariato – tutto il paese ci riderà dietro. La portalettere di Lizzanello, donna bella, sicura, che allo stesso tempo è dentro e fuori quell’angusto universo di paese, diverrà così colei che conosce tutto di tutti. Consegnataria di buone e cattive nuove, di messaggi, segreti, ambasce. Pronta non solo a recapitarli, ma pure a condividerli. E in questo modo rappresentare per la gente del posto – ancorché nella loro inconsapevolezza e nonostante le resistenze – un punto di riferimento, un elemento di giudizio, un termine di paragone; fino a instillare nella comunità benefiche pozioni di novità. È una bella storia di emancipazione femminile, di una donna che sceglie e che non subisce ricatti di convenzioni sociali, moralismi, ipocrisie, piccinerie. Anche nelle rinunce, comprese quelle d’amore, ella risponde innanzitutto al suo modo di intendere e vivere la propria libertà. Contribuisce al fascino della vicenda sapere dall’autrice che il romanzo è nato da un biglietto da visita di cent’anni fa, ritrovato in un cassetto, su cui c’era scritto Anna Allavena. Portalettere’: “Anna era la mia bisnonna e io mi sono messa sulle sue tracce, scoprendo così una donna straordinaria.
 
***
 
«È morta la portalettere!»
La notizia si diffuse come un lampo lungo ogni strada e vicolo del paese.
«Figurati se quella è schiattata davvero», commentò donna Carmela, facendo capolino dalla porta con aria assonnata. L’alone nerastro del mascara del giorno prima le si era tutto addensato nelle pieghe sotto gli occhi.
«Pace all’anima sua», replicò la dirimpettaia in vestaglia, e si fece il segno della croce.
«Lo dicevano, che non stava bene», s’intromise un’altra dal balcone. «Non la si vedeva in giro da un pezzo.»
«I bronchi, ho sentito», puntualizzò un donnone che stava spazzando l’uscio di casa.
«C’aveva la malattia dei portalettere», spiegò quella dal balcone. «Ferruccio, vi ricordate? Pure lui morì giovane.»
Donna Carmela fece una smorfia. «Vado a stirare il vestito delle feste», disse. E rientrò.
In una casa non troppo distante, dove finiva il centro abitato e cominciava la distesa di ulivi, Giovanna se ne stava seduta al tavolo della cucina e versava lacrime su una cartolina datata 22 maggio 1936. La piegò in due, la infilò nell’incavo dei seni e uscì.
Secondo le ultime disposizioni di Anna, la veglia funebre era stata allestita nel giardino di melograni e basilico sul retro della casa. Il mortaio che lei si era portata appresso dalla Liguria quasi trent’anni prima glielo avevano messo accanto nella bara, in cui c’erano due paia di calzette da neonato, uno rosa e uno blu, e la fede nuziale di Carlo, che Anna aveva insistito per portare con sé, infilata nel dito sopra la sua. Non le serviva altro per congedarsi dalla vita, aveva detto poche ore prima di spirare.
Roberto ciondolava nei pressi della bara, fumando senza sosta Nazionali senza filtro. Sua moglie Maria era seduta su una delle sedie di paglia che facevano da scudo al feretro, ma si muoveva di continuo. Il pancione di nove mesi la stava facendo sudare oltre ogni dire; se fosse nata una femmina, l’avrebbe chiamata Anna, come promesso.
La processione di uomini e donne venuti a porgere le condoglianze era cominciata fin dalle prime luci del giorno. Meno male che ho preparato thermos di caffè in abbondanza, pensò Maria, cambiando posizione per l’ennesima volta. In quell’istante entrò, compatto, il gruppetto di donne capitanato da Carmela, fasciata in un abito blu, i capelli acconciati in uno chignon e una spessa linea di matita nera sulle palpebre. Come una primadonna gonfiò il petto e avanzò fino alla bara, orgogliosamente consapevole degli sguardi curiosi che, come moscerini, le si appiccicavano addosso. Il bacio indirizzato alla defunta, la stretta di mano a Maria, l’abbraccio a Roberto: un’interpretazione magistrale.
Le soffiò la scena l’arrivo di Giovanna, che entrò di slancio e si gettò su Anna, stringendola e baciandole il viso così a lungo da mettere in imbarazzo tutti i presenti.
«Sempre strana è stata quella lì», mormorò qualcuno.
Poi Giovanna si raddrizzò, si sfilò la cartolina dall’incavo tra i seni, la aprì e la consegnò a Roberto, che aveva appena acceso un’altra sigaretta.
«Cos’è?» chiese lui, rigirandosela tra le mani.
«Leggi», replicò Giovanna, asciugandosi gli occhi.
«Tanti cari saluti», lesse Roberto. Poi fissò la donna, perplesso.
«No, non lì. Qui, vedi?» Giovanna posò un dito nell’angolo in alto a destra.
Roberto si accorse che i francobolli erano stati strappati via, rivelando una serie di minuscole parole.
«Un’idea di tua madre», spiegò Giovanna con la voce rotta. «Solo lei se la poteva inventare, una cosa del genere.»
Roberto avvicinò la cartolina agli occhi, sforzandosi di decifrare quello che c’era scritto. Poi guardò Giovanna con aria smarrita.
«Mi faceva scrivere un messaggio segreto per il mio innamorato e poi ci incollava i francobolli sopra», spiegò lei. «Ci siamo scritti per anni.»
Roberto accennò un sorriso e fece per ridarle la cartolina, ma Giovanna lo bloccò. «No, questa la devi tenere tu», insistette, posando la mano su quella di lui. «Come ricordo.»
«Va bene», acconsentì Roberto. E, mentre fissava Giovanna che si allontanava, arrancando, ripiegò la cartolina in due e se la ficcò nella tasca laterale della giacca. In quel momento, un’anziana col viso paffuto e dai folti capelli grigi legati in una coda a lato si avvicinò e posò ai piedi della bara un vaso di fiori bianchi.
Chissà se lo zio Antonio sarebbe venuto, pensò poi Roberto, gettando a terra la cicca. Si chiese se avesse già letto la lettera. «Portala a tuo zio, non appena non ci sarò più», gli aveva chiesto la madre, consegnandogli una busta bianca sigillata.
Anna e Antonio non si erano più parlati, dopo quella notte di nove anni prima.
Quanto può essere tenace, l’amore che cede il passo all’odio?
 
[da La portalettere di Francesca Giannone, Editrice Nord, 2023]
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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