“Merlino, un mito italico” tra letteratura, toponomastica e antropologia

Duccio Rossi

04/05/2018

Senza seguire un andamento oggettivamente lineare e senza volere essere un libro di storia e di antropologia in senso scientifico ed accademico, così come avverte l’editore nella prefazione, “Merlino, un mito italico” di Bernardo Tavanti ci conduce alla scoperta di una figura mitologica e letteraria, quella appunto di Merlino, che rimanda ad una sorta di “inconscio collettivo” dalle origini toscane, contrariamente alla ben più diffusa versione che lo colloca invece nelle regioni d’oltralpe.
L’originario Myrddin, da molti posto in continuità con Merlino, con il quale è da evidenziare anche un’assonanza del nome stesso, era – ci spiega Tavanti –, un guerriero che perse il senno in seguito ad una battaglia e si rifugiò in una foresta, dove iniziò a vivere allo stato selvaggio. Questa testimonianza del primo Merlino compare in alcuni poemi gallesi, pervenutici in trascrizioni, del XII secolo. Dal Myrddin della cultura celtica si passò poi al nome vero e proprio di Merlino, testimoniato in tre celebri opere di Geoffrey di Monmouth: l’Historia Regum Britanniae, la Prophetiae Merlini e la Vita Merlini. Troviamo poi, continua Tavanti, Merlino e Re Artù nelle avventure tradotte in francese da Maistre Wace nel Roman de Brut e nel Roman de Rou (metà del XII secolo); ma l’incantatore Merlino sarà assoluto protagonista nel Merlin di Robert de Boron (inizi del XIII secolo). Il Merlino di Tavanti è presentato come il risultato di un esperimento malriuscito di alcuni demoni, tutti intenti a confabulare contro il Bene. Da una madre cristiana di grande fede e da un padre demoniaco, un demone-incubo, il piccolo Merlino erediterà i propri poteri profetici che saranno però sempre rivolti verso il Bene. Una figura complessa che varia nel tempo, ci spiega l’autore, passando dalla cultura celtica a quella cristiana, per poi ricadere ancora nell’occulto durante il Romanticismo, per poi finire nella dimensione fiabesca, partorita dalla moderna cultura occidentale. Ma il vero focus del libro è la dimensione italica del mito di Merlino, e più precisamente quella toscana, se vogliamo assimilare l’antica Etruria con l’attuale regione del centro Italia. A testimoniarla sono i molti riferimenti, diciamo geografici e toponomastici, che in Toscana rimandano a Merlino. Un esempio tra i tanti: la così detta Grotta di Merlino ad Arcidosso, sul Monte Amiata. Essa consiste in una spelonca, ci spiega l’autore, con un corridoio in discesa che conduce ad una grande stanza circolare. Il motivo per il quale la tradizione popolare leghi da sempre questa grotta alla figura di Merlino non è chiaro. Forse la grotta fu il rifugio di un ribelle fiorentino che fece credere di essere una sorta di stregone per tenere alla larga i curiosi e tutti coloro che avessero potuto cercarlo. Da qui, forse, l’accostamento con il mago stregone per antonomasia: Merlino. Ed ancora a Montieri (in provincia di Siena), nei pressi dell’Abbazia di San Galgano e dell’Eremo di Montesiepi, dove è visibile tutt’oggi la spada nella roccia di San Galgano, che tanto rimanda ad Excalibur di Re Artù, esiste un antico bosco di cedui in località Mersino o Merlino. Addirittura il sito dell’Eremo di Montesiepi rievoca così tanto il ciclo arturiano – a causa dell’accostamento della spada di Galgano con quella di Artù, entrambe nella roccia –, che le fantasie popolari hanno posto, sotto l’eremo stesso, una grotta segreta che richiamerebbe l’ultima residenza di Merlino: la torre o grotta circolare, occulta e invisibile, in cui l’incantatore fu imprigionato e sepolto.
 
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