Nel mezzo del cammin…tra Bologna e Firenze (18-21 ottobre)

Cristian Lamorte

22/10/2010

Lunedì 18 ottobre Siena – Bologna – Sasso Marconi
E’ il giorno della partenza. I primi pensieri vanno allo zaino che sarà il tuo compagno di viaggio e il tuo peso sulle spalle. La speranza è solo quella che contenga tutto il necessario ma niente di superfluo. Lungo il tragitto in autobus che ti porta a Bologna i pensieri apprensivi sullo zaino si spostano ben presto in qualcosa di “meno pratico”: i perché e le circostanze che ti portano alla partenza. Sono pensieri agrodolci nel buon sapore di una nuova avventura e di un aroma un po’ più stringente su quello che hai lasciato da quando hai deciso di metterti in cammino fino alla partenza. Anche quel che vedi dal finestrino ha lo stesso sapore. Fra pioggia e nebbia vedi quegli Appennini che attraverserai a piedi e, se da una parte l’avventura si fa accattivante, dall’altra tutto quel grigio non ti sembra assolutamente un buon presagio. Se, da una parte quei nomi di luogo non saranno più solo cartelli stradali, dall’altra hai l’impressione di non essere all’altezza di comprendere cosa si cela dietro quelle scritte in maiuscolo, in bianco su sfondo blu o verde. Un luogo non può essere un’indicazione. Non sempre te ne sei ricordato.
C’è poi Bologna ad attenderti. Ha un fascino particolare che neanche il grigio di pioggia e nebbia riescono ad offuscare. Quei portici. Quei portici non sono una cosa scontata nella loro bellezza. Studenti, impiegati, visitatori, tutte le persone che vi passano, a piedi o in bicicletta, al di sotto o al cospetto, hanno rispetto di quegli archi che ne custodiscono i pensieri. Ecco, si ha proprio l’impressione che Bologna sia una città pensante e gelosa. Quei portici servono a custodire gelosamente i pensieri delle persone senza che nessuno li possa scrutare neanche dall’alto. Quei pensieri devono sbattere tra le colonne e i muri, mescolarsi fra loro, intrecciarsi e scontrarsi…e tutto questo si respira. Prima di ripartire per Sasso Marconi ti resta il tempo di scegliere un altro compagno di viaggio: un libro. C’è l’imbarazzo della scelta, ancor prima di quella sul libro quella sulla libreria. In un giro in centro ce ne sono sette, piccoli librai o grandi esposizioni, dove perdersi.
Un altro po’ di cammino e con l’aiuto di un pullman che ti evita il tragitto ben poco attraente di Casalecchio si può arrivare facilmente a Sasso Marconi, primo punto tappa. Un’infinità di persone ti sfilano accanto senza accorgersene e senza accorgertene fino a quando non cominci a capire che la tua partenza forse sta cercando di fuggire proprio da questo.

Martedì 19 ottobre Sasso Marconi – Monzuno
Dal luogo che ha visto le prime invenzioni di Guglielmo Marconi parte il cammino che abbandona invece i segni della tecnologia per immergersi nella natura. E’ qui che incontri il primo segnavia “Bo-Fi”. Ha un certo fascino, magari immaginario, ma più che un piccolo cartellino su un albero è l’inizio reale della tua avventura. E che avventura, viene da chiederti, per le prime centinaia di metri che si inerpicano tra i boschi mettendo subito alla prova la tua resistenza quasi come un monito “guarda che questo è solo l’inizio”. Un monito a cui rispondi volentieri quando uscito dal bosco ti si spalanca agli occhi una distesa verde del prato di Mugnano. Ti verrebbe voglia di sdraiarti subito a riposare se non che i chilometri da percorrere sono ancora tanti. Un’ultima occhiata attenta a quel parquet naturale ed una, alle spalle, alle strade e alle case di Sasso Marconi. Il cammino preclude forse di guardarsi sempre avanti ma quando capita di volgerti indietro provi sempre una certa soddisfazione. Non hai mai rimorsi ma sempre compiacimento per quello che hai fatto. E che compiacimento quando quello che guardi è sempre più ampio, nuovi prati, nuovi boschi di castagni, nuove sterrate o nuovi piccoli sentieri. Fino a Monzuno dove la signora Alice ti aspetta per spalancarti le porte del suo agriturismo ed una doccia ed un letto non hanno mai avuto tutto quel valore. Una cena in un vecchio mulino dei primi del novecento è la giusta ricompensa della prima vera fatica. L’epilogo della prima giornata, però, lo lasci ad uno splendido cielo stellato che ti scorta nel buio tragitto fino all’agriturismo. Se nella marcia alla luce del sole il tuo cervello è intento a seguire i passi e i segnavia, nella marcia alla luce della luna il cervello si sofferma solo in quello che hai fatto e farai. Ricordi e progetti, del tuo viaggio e non solo, si intrecciano così in una nuvola immateriale che abbandona la tua testa per innalzarsi in tutto quel buio.

Mercoledì 20 ottobre Monzuno – Monghidoro (Piamaggio)
Oggi tappa in compagnia. Ad attenderti ci sono Stefano, Gianfranco e Marco. Tu non sai chi sono ma hai la netta sensazione di conoscerli. Chissà con quale pretesa poi? E’ semplicemente lo strano potere del cammino che è in grado di mettere assieme persone per il solo gusto di camminare. Stefano lo avevi già sentito per telefono e per mail dimostrandosi un amico più di qualsiasi altra cosa per i preziosi consigli sulle tappe, il road book, le mappe e tutto quello che bisogna sapere prima della partenza specie per uno come te che non ha mai fatto un’esperienza del genere. Che piacere quando ti ha detto che ti avrebbe accompagnato in questa tappa. Insieme a lui anche Gianfranco e Marco. Due camminatori come dio comanda, uniti, si vede, dalla passione per la marcia e da una profonda amicizia. Tu sei il più giovane della squadra ma a tratti, giuro, ti senti il più vecchio quando a fatica riesci a tenere il loro passo svelto, deciso, attento, rispettoso e…invidiabile. La cosa ti inorgoglisce anche un po’ di far parte di quella squadra di esperti (Gianfranco nel 1990 ha visto l’Himalaya, Marco insieme a lui ha appena camminato dal tirreno all’adriatico e Stefano conosce il tragitto Bologna-Firenze come le sue tasche). Ecco come tra una chiacchiera e l’altra, un racconto, una battuta non c’è bisogno di conoscersi, appena entri nel bosco siete già in perfetta sintonia. Che incontro poi, dopo quattro chilometri, quando tra gli alberi spuntano poche case. E’ Campadone (o Campaduno). E nel nome di questo piccolo borgo sta proprio l’essenza dell’incontro. Appena vi vede sale da un campo Sor Mario che vi invita in casa per vedere il camino con dei segni incisi che richiamano il sole (ben lontano dal sole delle alpi sulla scuola di Adro). Da qui parte il racconto mirato a confutare la leggenda che in quel posto, agli inizi dell’800, una terribile febbre avesse ucciso tutta la popolazione tranne uno (da qui “Campaduno”). “Non è vera questa cosa – esclama Sor Mario -, io ho litigato con il sindaco quando ha fatto mettere il cartello con questo nome alle porte del borgo”.
Ed è così che la tappa fino a Monghidoro scorre via piacevolmente tra salite e discese ombreggiate nei boschi, piccoli paesini, tantissime fontane, torrenti e chiesette.
A spalancarmi le porte del suo B & B c’è stavolta la signora Carla: “Vieni, vieni pure e dammi le scarpe che te le pulisco io mentre ti riposi”. Tu indugi, non vuoi approfittartene. “Guarda che io sono la mamma di tutti – aggiunge Carla con accento romagnolo -, quali problemi ti fai?”. Che bel benvenuto, pensi. Della famiglia De Fanis poi conosci subito (per forza) Riko. E’ il pastore tedesco in giardino che non perde tempo, vuole giocare, prende un pallone e te lo porta con la bocca. Porca vacca se avresti voglia di giocare con lui se solo non fossi reduce da sei ore di cammino. Lui però non ne vuole sapere e ti seguirebbe anche in camera da letto con quel pallone se non ci fosse la signora Carla. La casa De Fanis si fa sempre più accogliente. Ma ancora non è niente. Conosco poi anche Gilda, una gatta certosina bellissima che non disdegna affatto le coccole. Poi conosci Franco, 81 anni portati come un sessantenne. Con lui ti perdi nelle parole e nei suoi racconti. Da Vasto ha girato gran parte d’Italia nella Guardia di Finanza fin quando ha deciso di correre dietro alla sua passione: la cucina. Ha aperto così un ristorante in piazza San Francesco a Bologna e con l’inimitabile zuppa di pesce “alla vastese” ha messo da parte i soldi per comprarsi quella splendida casa a Piamaggio. Poi ad un certo punto del racconto di fronte al camino, dopo un secondo di silenzio e di riflessione, Franco: “Il fuoco…quella per me è la vita. Nelle fiamme, nel calore e nella legna che brucia c’è la mia vita fin da bambino”. Non ti resta che rimanere in silenzio affascinato da una frase che ti scalda ancor più di quel fuoco. Rimane poi un’ultima conoscenza: è Alfeo, il figlio di Carla e Franco. Anche per lui la passione della cucina che lo ha portato ad aprire una trattoria a pochi metri da casa. La serata non poteva che finire con una cena deliziosa tra i sapori emiliani e quelli abruzzesi, tra i tortellini e la ventricina fino alle tante castagne bagnate dal tanto rosso di Montepulciano d’Abruzzo per tirare tardi tra piacevoli conversazioni sul viaggio, le esperienze, la vita, la mia e la loro. Che piacere. Una giornata di incontri.

Giovedì 21 ottobre Monzuno – Firenzuola
Il tempo di una foto ricordo con la famiglia De Fanis. Un abbraccio e un “buon viaggio” hanno davvero un valore più profondo di qualsiasi arrivederci e sono decisamente un buon inizio di giornata prima del cammino. Quella che ti aspetta è una delle tappe più lunghe ed è il caso di partire senza indugio. Sei a quota 800 metri e devi raggiungere i 1200 prima di ridiscendere fino a Firenzuola. Castagni lasciano il posto a faggi ed abeti sotto i quali i raggi del sole penetrano timidamente ma quando ci riescono regalano colori autunnali davvero sorprendenti. La salita si fa sempre più dura ed il fiatone si fa sentire più degli scarponi sulle foglie o sul fango. Ma quando sei in marcia da solo quello che fa più rumore sono i pensieri. A volte il loro suono è talmente forte che diventa assordante, a volte è talmente dolce che diventa melodia. Comunque, rumore o melodia, devi saperci fare i conti perché non lasciano spazio ad altra musica. Quelli che stai attraversando sono i boschi dove trovavano rifugio i briganti tra l’Emilia e la Toscana e questo non è che ti rende proprio a tuo agio. Lascia allora che sia il fascino di una distesa di funghi, o di una piccola fonte o di un prato che si apre non sai come tra gli alberi a catturare la tua attenzione. La salita poi. E’ dura, eccome se è dura ma quando arrivi alla croce dell’Alpe quello che ti si spalanca agli occhi ti ripaga da qualsiasi fatica. Quassù c’è solo la foschia a separare il tuo sguardo e il mare adriatico. Una sosta più lunga del previsto può starci ma senza esitare troppo perché il cammino è ancora lungo. Inizi la discesa e mentre il giorno prima è stato quello degli incontri, oggi è il giorno della completa solitudine. Non un’anima viva e nessun segno di questa ormai da più di tre ore. Quando il bosco si fa sempre più fitto in discesa e devi driblare rami e cespugli ecco il primo segnale di vita. Un gatto. E che ci fa un gatto qui? Saremo ad almeno altri cinque chilometri da una casa. Rimane fermo impassibile, raccolto nel suo fitto pelo bianco e nero. Ad un certo punto non comprendi se è lui ad osservare te o te ad osservare lui. Se c’è più stupore nei suoi occhi o nei tuoi. Che incontro inconsueto. Magari anche lui ha scelto un po’ di cammino fuori dalle case. Tu non ti avvicini a lui e lui non lo fa con te. Nel guardarsi fissi negli occhi tu prendi per la tua strada e lui per la sua. Chissà se c’era qualcosa che vi accomunava? Lo pensi per un po’ di tempo prima che lo zaino torni a far sentire il suo peso. Il cammino prosegue senza sosta in un sali e scendi infinito e le gambe cominciano a farsi pesanti. Non è una bella sensazione, in loro, nelle tue gambe, risiede la buona riuscita del viaggio e vorresti che rispondessero sempre al meglio. Impossibile, però. In cima ad un cocuzzolo scorgi una chiesetta, è lontana ma è un punto di riferimento, nel tuo road book ma soprattutto nella tua testa. La cosa ti serve da stimolo e poi, quando ci arrivi, finalmente, incontri una persona. E’ una donna che però non cattura la tua attenzione. Con lei c’è un cane bellissimo e tu, da bravo gentiluomo: “Ma è fantastico, che razza di cane è?”. Non ti sei neanche presentato e gli hai chiesto di che razza è il cane. Complimenti, ti dici tra te stesso. “E’ un lupo cecoslovacco” risponde lei. Ne rimani davvero affascinato per la sua eleganza, per la sua strana timidezza che nasconde la voglia di avvicinarti. La timidezza poi è una dote che hai sempre apprezzato, nelle persone ancor prima, ovvio, che negli animali. “Ndòttuvvvai?”. Ti chiede quella signora mentre sei intento a guardare il lupo. “Sono diretto a Firenzuola”, rispondi. Ma quella domanda ti suona tanto bene. E’ accento toscano, era da un po’ che non lo sentivi e questo significa che Firenze si avvicina. Attraversi ancora prati ed un costone di argilla per altri non sai quanti chilometri prima che ti si spalanchi sotto i piedi Firenzuola. Roccaforte di Firenze fin dalla sua nascita rimane laggiù ad aspettarti. Un ultimo sguardo indietro per vedere da dove sei partito. Oggi non lo vedi neanche più, ne hai fatti davvero tanti di chilometri. Tra il compiacimento e la stanchezza pensi solo a trovare dove devi dormire. Il posto è fantastico, nel cuore di una riserva di caccia una vecchia fattoria recuperata a dovere e tu dormi dove dormivano un tempo le mucche.

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