“Il gioco di ruolo non è fuga dalla realtà ma ricerca di senso”. Intervista a Vanni Santoni

Firenze il 29/05/2017 - di Riccardo Bruni
C’è un libro, quest’anno, tra la dozzina del Premio Strega, che ha risvegliato l’orgoglio e il senso di appartenenza di un mondo sotterraneo, quello dei giochi di ruolo. Ma “La stanza profonda” (Laterza)  di Vanni Santoni non è soltanto questo. Il tavolo attorno al quale i protagonisti del romanzo si incontrano per inventare mondi, tessere storie, impersonarne a loro volta i protagonisti (narrazione nella narrazione), è il punto di osservazione dal quale l’autore estende lo sguardo non solo a quello scenario fatto di schede, dadi, ritualità e fantasia, ma arriva a comprendere uno spaccato di storia di quella provincia toscana, e per estensione italiana, che è andata progressivamente desertificandosi. Il gioco di ruolo non è fuga dalla realtà, diventa ricerca di senso. Diventa un atto che va ben oltre gli aspetti ludici e si fa creativo, artistico, narrativo. Ma soprattutto collettivo. Ed è esattamente in questo luogo, in questa stanza profonda, che Santoni ha deciso di condurci, sotto l’egida di un dado da venti facce, oggetto di culto e dispensatore delle alterne fortune di eroi e stregoni.
 
Dopo il mondo dei rave, che hai raccontato in “Muro di casse”, hai scelto quello dei giochi di ruolo per ambientare una storia.
Due contesti apparentemente distanti eppure con molti punti in comune. Puoi spiegarci la scelta?
“La risposta facile è il mio avere una conoscenza diretta e ventennale di entrambi. Al di là di ciò, è evidente che Muro di casse e La stanza profonda formano un dittico, sia per ragioni puramente editoriali – escono per lo stesso editore, Laterza, nella stessa collana e in modo consecutivo – che strutturali (sono romanzi che svolgono anche alcune delle funzioni di un saggio), che, infine, tematiche. Per quanto a prima vista il mondo della free tekno e quello dei giochi di ruolo possano apparire molto distanti, in realtà presentano notevoli affinità. In entrambi i casi si tratta di fenomeni culturali socialmente trasversali, afferenti alla dimensione del loisir, e che nascono, si codificano e si sviluppano in modo autonomo e dal basso nell’ambito delle culture giovanili, in periodi in parte sovrapponibili – la storia della cultura rave comincia alla caduta del muro di Berlino per arrivare fino a oggi; il “trentennio” dei giochi di ruolo in Italia comincia con l’arrivo di D&D nel 1985 (in America undici anni prima) e arriva, pure fino a oggi. Ma non c’è solo quello. Andando più in profondità, si può vedere che in entrambi i casi lo scopo ultimo è quello di creare mondi altri attraverso un apparato rituale codificato e una serie di regole stabilite assieme dai partecipanti e da essi liberamente accettate – per quanto diverse, la “bolla” del rave e quella della campagna di gioco di ruolo, sono due “Zone temporaneamente autonome”, per riprendere la nota definizione del filosofo Hakim Bey. Infine, entrambi i fenomeni sono caratterizzati da una natura prettamente non commerciale e controculturale, e dall’aver avuto una valenza avanguardistica sempre poco compresa dai media mainstream, che anzi li hanno solitamente osteggiati o comunque trattati in modo superficiale e inadeguato alla loro complessità”.
 
Il gioco di ruolo, quello vero, fatto di schede e dadi, esiste ancora o è stato sostituito dai giochi online?
“Sicuramente l’epoca d’oro dei giochi di ruolo, che in Italia ha avuto luogo nei primi anni ’90, è oggi terminata. Non esiste più quella miriade di editori grandi e piccoli, per tacere delle autoproduzioni, che ogni giorno progettavano e facevano uscire nuovi sistemi di regole, nuove ambientazioni, moduli, espansioni e quant’altro. E anche il numero di giocatori è molto minore, per quanto non si possa parlare di un fenomeno esaurito: se negli anni di picco i giocatori di ruolo erano circa trenta milioni, oggi, secondo le stime più recenti, sarebbero cinque milioni, un numero comunque considerevole. È però evidente come la carica controculturale del medium sia ormai esaurita, col suo ritorno a fenomeno di nicchia e quindi a sottocultura. Quello che però è ancora estremamente interessante è il modo in cui i giochi di ruolo hanno influenzato parti consistenti della realtà che viviamo: dall’industria, appunto, dei videogiochi, che oggi rivaleggia addirittura del cinema e che in molti dei suoi prodotti di punta utilizza dispositivi venuti direttamente dai GdR, ma anche i social network, dove si proiettano e si fanno interagire in spazi virtuali degli alter ego rappresentati da schede profilo compilate secondo parametri fissi”.
 
Il gioco di ruolo è uno dei pochi giochi in generale a sviluppare dinamiche cooperative anzichè competitive. I giocatori lavorano insieme per riuscire in una missione e a un secondo livello narrativo lavorano come gruppo insieme al master per raccontare una storia. C’è oggi qualcosa di simile?
“Il carattere congiuntivo dei giochi di ruolo, opposto a quello disgiuntivo dei giochi classici, sport inclusi, dove lo scopo della partita è, di fatto, stabilire una differenza prima inesistente tra i giocatori, quella che passa tra vincitori e vinti, è uno degli aspetti più rilevanti del fenomeno, così come in quello dei free party era decisivo il loro “salvare il ballo” dalla discoteca, tenendo la musica elettronica ma facendo saltare tutte le caratteristiche che rendevano quest’ultima una caricatura del mondo esterno coi suoi rapporti di potere, di classe e di genere – il biglietto all’ingresso, la selezione, la presenza di buttafuori ovvero guardie, un privé dove può entrare solo chi viene ritenuto abbastanza “figo”, prezzi gonfiati, sessismo diffuso, aggressività, orari di chiusura inderogabili, etc. – in favore di un contesto gratuito, orizzontale e libertario. Mi sembra che oggi le culture giovanili si formino e sviluppino in ambito anzitutto telematico, e forse è ancora presto per dire quali sono quelle rilevanti: un rischio, però, è che l’atomizzazione di qualunque possibile interesse in una miriade di nicchie porti dette nicchie a rimanere tali, senza poter crescere e raggiungere uno status controculturale, capace di impattare davvero il contesto esterno”.
 
Hai fatto il game master per molti anni, conservi ancora quelle avventure? Quanto di quei mondi e di quelle storie è finito nel ciclo di romanzi fantasy “Terra Ignota” che hai scritto? E cosa vuol dire quella sigla HG aggiunta al tuo nome, con cui li hai firmati?
“Ho ancora, da qualche parte a casa dei miei genitori, tutti i vecchi quaderni e manuali (per molti anni ho scritto io stesso anche il sistema di regole) usati nella mia lunga attività di dungeon master, ma la (forse sorprendente) verità è che non ho utilizzato niente di tutto ciò per i due Terra ignota (la sigla HG nasceva dalla volontà dell’editore di differenziare la “firma” dei miei fantasy rispetto a quella dei miei romanzi realistici: non avendo secondi nomi o secondi cognomi da mettere in campo, ho scelto quelle due lettere come omaggio al Guido Morselli di Dissipatio HG) né ne sto usando alcunché per L’impero del sogno, il prequel al dittico a cui sto lavorando in questo momento. Credevo di poterlo fare, ma il fatto è – e l’ho scoperto proprio lavorando a quei libri – che letteratura e giochi di ruolo sono medium diversi, con esigenze narrative e strutturali diverse: ciò che funziona in un gioco di ruolo non funziona necessariamente in un romanzo, e viceversa. L’esperienza da dungeon master mi è però servita altrove: il metodo SIC, col quale è stato scritto il romanzo storico In territorio nemico, uscito nel 2013 per minimum fax, nel suo creare una narrazione condivisa a partire dall’interazione tra squadre di scrittori e piccoli gruppi di compositori, viene direttamente dai giochi di ruolo e dal modo in cui la dialettica giocatori-master genera la storia. Mi è stato anche fatto notare che la struttura epigrafica del mio libro d’esordio Personaggi precari potrebbe venire dall’esperienza di creazione di migliaia di micro-schede di comprimari o “png”, attività tipica del master: ma se è vero che quando ho cominciato quel progetto non conoscevo i suoi ascendenti nel canone – penso a opere come Lo stereoscopio dei solitari e La sinagoga degli iconoclasti di Wilcock, Centuria di Manganelli, Vite di uomini non illustri di Pontiggia – dall’altro lato è forse un’interpretazione eccessiva dato che Personaggi precari nasceva anzitutto dalla volontà di trovare forme narrative adatte alla velocità di fruizione tipica del web”.
 
Per raccontareLa stanza profonda” hai usato la seconda persona. È una scelta che richiama in qualche modo la voce narrante del game master?
“Ho cominciato a lavorare sulla seconda persona già in Muro di casse, dove la utilizzo nel prologo, prima di lasciare il campo alle tre prime persone di Iacopo, Cleo e Viridiana. Dato che anche quello dei free party era un fenomeno collettivo e orizzontale – il motto stesso degli Spiral Tribe, iniziatori della free tekno, era “You are the party”, a sancire il sopravvenuto superamento della distinzione sociale tra pubblico e performer – partire subito con una prima persona mi sarebbe parso quasi irrispettoso, mentre una terza persona avrebbe implicato un distacco, una esternalità della voce narrante che non sarebbe stata adatta a un libro in “presa diretta”, che integrava nel romanzo anche elementi di memoir e reportage. Quando ho cominciato a lavorare alla Stanza profonda, mi è venuto naturale ripartire da Muro di casse, e così ho cominciato con la seconda persona. Poco dopo l’inizio del lavoro sul libro, mi sono reso conto che la seconda è la persona dei giochi di ruolo: il master si rivolge ai giocatori con il “voi” – “vedete…”, “sentite…” – e al singolo giocatore con il “tu”. Realizzato questo fatto, e vedendovi la possibilità di una sovrapposizione tra forma e contenuto, sono andato fino in fondo e ho scritto tutto il libro in seconda persona”.
 
In molti consideravano il gioco di ruolo una forma di evasione dalla realtà. Davvero era soltanto questo?
“Credo che sia, di fatto, l’opposto. Escapismo è la parola semplificatoria che i media hanno sovente utilizzato per parlare di giochi di ruolo senza prendersi la briga di andare a fondo e cercare di capire di cosa si trattasse veramente, allo stesso modo in cui hanno usato “sballo” per derubricare un fenomeno culturale stratificato e complesso come i rave a fatto marginale, quando non deprecabile. In realtà nei giochi di ruolo si lavora duro, in modo concertato, per creare contenuti narrativi altamente strutturati. Si tratta quindi di un’attività di pensiero di un certo spessore, che probabilmente non è corretto neppure chiamare “gioco”, e che forse ha faticato a trovare pieno riconoscimento anche a causa della posizione del tutto eterea e astratta di tali contenuti – il gioco di ruolo non “è”, infatti, nei manuali o nei dadi, o in un eventuale resoconto delle sessioni: esso esiste veramente solo nel “cloud” dell’immaginazione condivisa dei giocatori”.
 
Hai già pensato a un altro mondo da esplorare dopo quello dei rave e dei gdr?
“Appena finirà la promozione della Stanza profonda, che peraltro si sta allungando molto, visto il riscontro che sta avendo il libro, ho in programma la scrittura di tre libri, già contrattualizzati e calendarizzati: il succitato Impero del sogno, prequel autonomo della mia saga fantasy, che uscirà per Mondadori in autunno; un piccolo saggio sulla scrittura per minimum fax e previsto per il 2018; e ancora il mio “romanzo grosso”, che uscirà, pure, per Mondadori a fine 2019 o inizio 2020. Quando avrò finito con questi progetti, non escludo di tornare a indagare le sottoculture, vista anche la fortuna che hanno avuto Muro di casse e La stanza profonda. Trovo che oggi, nell’esplosione di complessità e velocità del mondo contemporaneo, le nicchie siano postazioni privilegiate di osservazione del quadro generale, proprio in virtù della loro lateralità rispetto a una cultura di massa rispetto alla quale, pure, trovano importanti intersezioni”.
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Riccardo Bruni

nato a Orbetello, Riccardo Bruni vive a Siena. Giornalista e scrittore, nel 2010 con Nessun dolore ha vinto la prima edizione del torneo letterario IoScrittore. Nel 2013 il suo romanzo Zona d’ombra è diventato un importante caso letterario, scalando le classifiche di Amazon. Nel 2016 La notte delle falene, primo romanzo pubblicato con Amazon Publishing, è stato candidato... Vai alla scheda autore >

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