“In Italia c’è bisogno dell’8 marzo”. Parla Giovanna Campani, autrice di “Veline nyokke e cilici”

il 08/03/2010 - Redazione

Una ricerca svolta da Nextplora per Samsung Electronics Italia, come riporta il quotidiano La Stampa, mette in luce che il 72% delle italiane, in omaggio alla propria femminilità, vorrebbe ricevere un prodotto tecnologico per la Festa della donna. Se siamo arrivate al punto di chiedere cellulari e notebook per festeggiare l’appartenenza di genere, che senso ha assunto la Festa della donna? E qual è l’idea dell’essere donna? Secondo Giovanna Campani, docente di antropologia di genere all'Università degli studi di Firenze, l’immagine della donna in Italia è “catastrofica”. Nell’ultimo romanzo “Veline nyokke e cilici. Femministe pentite senza sex e senza city” (Odoyapresentazione a San Gimignano, nella sala Tamagni del Comune alle ore 17,30), la Campani affronta l’azzeramento delle conquiste femminili che hanno impoverito l’esperienza di emancipazione. Secondo Giovanna Campani a partire da un’ipotetica e “totalmente presunta parità raggiunta, le donne sono libere solo nell’indipendenza economica e vicine nell’alienazione dello shopping compulsivo e del gossip”. Anche la libertà sessuale sarebbe effimera e solo “apparentemente trasgressiva, mentre la performance sociale è ancora tenacemente in mano al potere maschile”. Le riflessioni dell’antropologa, partono dall’America degli anni Ottanta, in cui abbiamo assistito al fenomeno del backlash, ovvero al colpo di frusta, al balzo indietro del postfemminismo. Insomma una mercificazione totale della donna che porta la Campani a parlare addirittura di “stereotipi razzisti”.

Qual è la situazione italiana?
“In Italia, una volta terminata la stagione delle conquiste civili degli anni Settanta, si è progressivamente praticato un contrattacco che ha assunto dimensioni sempre più drammatiche per la condizione di vita delle donne italiane, con l’affermazione di una cultura popolare conservatrice. Il backlash all’italiana, evidenzia alcune manifestazioni come la rappresentazione delle donne nei media, il linguaggio e gli atteggiamenti sessisti della politica. Pensiamo al celodurismo di Umberto Bossi, all’espressione “nyokka” e soprattutto consideriamo l’influenza del Vaticano, attraverso esponenti di governo, in materia di famiglia e sessualità.
Secondo lei non c’è stata opposizione al conservatorismo?
No non c’è stata. Se prendiamo il piano educativo, vediamo che ad esempio in Canada i manuali scolastici sono stati cambiati in modo da far venir meno gli stereotipi di genere. Le illustrazioni e i testi che rappresentano le donne affaccendate in casa e gli uomini impegnati fuori, al lavoro, sono stati eliminati. In Italia c’è molto lavoro ancora da fare.
Ha ancora senso festeggiare l’otto marzo?
In Italia ce n’è bisogno. In Francia se ne parla, ma non è più un grande evento come da noi, perché hanno raggiunto e mantenuto conquiste, che per noi sono ancora molto lontane. Pensiamo alle relazioni di genere aperte che riescono a sopravvivere in moli Paesi europei, mentre da noi è ancora invasiva la mascolinità sporcacciona e sessista. A questo si aggiunge il clericalismo che nel nostro Pese non fa avanzare una serie di diritti di genere. Pensiamo alla telenovela della RU486, legale in Francia già dal 1986, consente alle donne una pratica abortiva meno invasiva. In Italia invece si colpevolizza ancora la donna nel diritto riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità, alla pianificazione familiare e alla salute riproduttiva.
Quali sono le generazioni maggiormente influenzate da questo modello?
Il nuovo tipo di maschilismo all’italiana, riguarda soprattutto gli uomini che oggi hanno dai 30 ai 50 anni. Lo spaccato è soprattutto quello dell’uomo di potere e del procacciatore alla Tarantini – D’Addario. Ovviamente ci sono uomini assolutamente schifati da questo modello e donne che invece, si adeguano benissimo a questo cliché.

Elisa Manieri

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