Nel periodo pasquale, seppur per certi versi al di fuori delle tematiche letterarie, per spiegare la carità nel più letterario senso del termine, ci piace ricordare come nel cuore di Siena, a due passi da Piazza del Campo, si trovi la mensa dei poveri gestita dalle Figlie della Carità di San Girolamo che ogni giorno dedicano il proprio impegno ai meno fortunati. Suor Ginetta, simbolo di sensibilità e bontà, ci accoglie nei locali della mensa mentre è ancora tutta affaccendata a sistemare gli scatoloni e il materiale per i pasti serali. Ci colpisce subito la sua spontaneità e l’umiltà che ha nei confronti del grande lavoro che ogni giorno svolge, insieme alle sue consorelle e ai numerosi volontari, per aiutare i poveri. Ci dice che sono oltre novanta i pasti che tutti i giorni offrono ad extracomunitari e italiani che non hanno un tetto sulla testa e confessa che vorrebbe fare di più, molto di più.
Attraverso la Bibbia arriva ai fedeli la parola di Cristo soprattutto per raccontare le sofferenze e le ingiustizie. Come riesce, attraverso la sua opera quotidiana, a metterla in pratica?
“Io ci provo ad assomigliare e a prendere l’esempio di Gesù ma non è detto che ci riesca, perché non è semplice. Le cose da affrontare durante il giorno sono tante, sia quelle gioiose che quelle spiacevoli, legate comunque al fatto di stare a contatto con persone che hanno problemi di ogni tipo. Bisogna essere dolci ma al tempo stesso anche tanto forti. Quello che faccio lo faccio con il cuore e con il sentimento ed è questo quello che ho imparato in questi anni come Figlia della Carità e dalla mia comunità”.
San Vincenzo de’Paoli, fondatore dell’ordine, diceva che non bastano l’emozione e il sentimento per aiutare i poveri, occorre anche l’organizzazione. È difficile legare questi due aspetti?
“Effettivamente può essere difficile ma nello stesso tempo diventa anche semplice basta tener presente gli insegnamenti di San Vincenzo e la storia del volontariato. Lui ha visto che c’era la necessità di aiutare le persone meno fortunate e bisognava farlo soprattutto con intelligenza perché non bastava la volontà, così propose a tutte le persone che si offrivano di aiutare i poveri di organizzarsi in turni. E così sono nate le prime confraternite di carità. Le Figlie della Carità sono arrivate in un secondo momento in seguito ad alcune ragazze che si proposero di offrire il loro aiuto, prima fra tutte Margherita Naseau e successivamente con Luisa de Marillac”.
Quanto c’è di attuale negli scritti e nelle parole pronunciate da San Vincenzo nel Seicento?
“Non è facile trovare un confronto questo perché bisogna tener presente che probabilmente alcune delle povertà esistenti quattrocento anni fa ora non esistono più. La povertà di oggi, quella che io vivo tutti i giorni, è sicuramente legata alla mancanza di lavoro e tra questi ci sono extracomunitari ma ultimamente anche molti italiani”.
Come vede, dal suo punto di vista, la sofferenza e le esigenze dei meno fortunati?
“Devo ammettere che confrontandomi anche con la mia comunità la pena addosso la sentiamo ed è per questo che non smettiamo mai di chiederci cosa possiamo fare di più per aiutare i meno fortunati. Da questa esigenza è nata, ad esempio, l’idea di mettere a disposizione un’ala della nostra casa per accogliere le donne in difficoltà con minori”.
Ha mai pensato di voler raccontare la sua esperienza nelle pagine di un libro?
“Qualche volta ci ho pensato ma dovrei farlo di notte! Forse potrei chiedere a qualcuno di farlo per me magari raccontandogli tutta la storia della nostra comunità e del servizio che le Figlie della Carità offrono tutti i giorni ai meno fortunati”.
Le radici della carità - Quest’anno ricorrono i 350 anni della morte di Vincenzo de’Paoli e Luisa de Marillac che con le loro opere e missioni diedero vita alle prime confraternite di carità. Le Figlie della Carità di Siena ricordano i due santi con cerimonie in programma fino a settembre senza mai perdere di vista il loro impegno quotidiano per aiutare i meno fortunati.
Marta Santopolo
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