“Sono diventato scrittore perché mi annoiavo mentre scrivevo la tesi”. Parla Marco Malvaldi

il 15/07/2010 - Redazione

Il suo ultimo romanzo si chiama “Il re dei Giochi” (Sellerio). Per la critica è uno scrittore di gialli, anche se lui preferisce chiamarli libri umoristici. È un ricercatore di chimica organica, ma è diventato scrittore perché non aveva voglia di scrivere la tesi. Marco Malvaldi, pisano classe 1974, si racconta al portale Toscanalibri.it.

“Il re dei giochi”, il suo ultimo libro, è un giallo, così come lo erano i suoi lavori precedenti. Perché uno scrittore sceglie di cimentarsi con questo genere letterario?
“In primo luogo, chi non ha mai scritto sceglie di cominciare da ciò che legge, e io ero un divoratore di gialli. È un genere letterario che può avere grandi potenzialità, basta pensare a Sciascia, Dürrenmatt, Simenon. A differenza delle altre, il giallo può essere visto come una storia che ha una forte perturbazione iniziale, qualcosa che non appartiene al mondo comune”.
Intende dire l’omicidio?
“Esatto, proprio l’omicidio. Un evento a cui i vari personaggi reagiscono in modi differenti. Da questa situazione iniziale può nascere una bella storia, un’analisi della realtà, e a volte anche uno scritto di alto livello”.
Prima “La briscola in cinque”, poi “Il gioco delle tre carte”. E ora “Il re dei giochi”. Perché questo costante riferimento al gioco nei titoli dei sui romanzi?

“Di mestiere faccio il chimico teorico, anche se per ora sono senza contratto. Sono appassionato di matematica e in particolare di teoria dei giochi. Si tratta di una scienza che studia i comportamenti umani formalizzandoli attraverso giochi. Ognuno dei miei libri ha un suo gioco, che è la metafora della trama. “Il re dei giochi” che dà il titolo al romanzo, è un nome che indica il biliardo, uno sport simile alla situazione di cui parlo nel libro. Prima di colpire la palla con la stecca si devono valutare tutti gli errori possibili. Lo stesso vale per chi progetta un omicidio: basta un piccolo errore di valutazione per essere scoperti”.
Cos’anno in comune chimica e letteratura?
“Qualcosa devono averlo per forza, visto che molti chimici, come Primo Levi oppure Isaac Asimov, sono diventati scrittori di successo. Come lo scrittore, il chimico, una volta trovate delle formule, deve saperle descrivere in modo che siano comprensibili a tutti, altrimenti il suo lavoro non vale niente”.
Il BarLume è il centro di tutti i suoi romanzi gialli. Un piccolo bar nell’immaginario, ma realissimo, paesino di Pineta, sul litorale pisano. A cosa si deve la scelta di quest’ambientazione?
“Quando ho cominciato a scrivere il primo romanzo facevo la tesi di laurea, e volevo essere ovunque eccetto che dove stavo, ossia al pc a scrivere. Ho sempre sognato di avere un bar, così ho pensato di farlo con la fantasia. Di qui il BarLume. Sono nato in un paesino di tremila persone, dove il bar si chiamava bar sport e l’età media degli avventori era 72 anni perché il barista ne aveva trenta. Fatto il bar ho pensato di metterci dentro i vecchietti. All’inizio sono nati come comprimari, poi mi hanno preso la mano perché sono la cosa più divertente da descrivere”.
Lei è nato e vissuto a Pisa. Quanto ha influito nella scelta di fare lo scrittore?
“È stato determinante! A Pisa ci sono molti scrittori bravi. In realtà abito a Vecchiano. L’altro giorno mi sono vantato col barista di essere lo scrittore più famoso del paese. Mi ha riso in faccia…”.
Perché?
“Vedi quella casa?” Mi ha detto. “Ci è cresciuto Antonio Tabucchi”.
Ampelio il nonno, Aldo l’intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, il Del Tacca del Comune. Anche ne “Il re dei giochi” ritornano i quattro vecchietti avventori del BarLume, che investigheranno sul terribile incidente automobilistico avvenuto sulla statale, convinti che si tratti di omicidio. Come nascono i suoi personaggi?
“Il più facile è stato il nonno del barista, Ampelio. È un ritratto fedele di mio nonno Varisello.Gli altri sono venuti fuori un po’ come contraltare. Aldo è come mi vedo io a settant’anni”.
Ovvero?
“Un ristoratore, ma con una certa cultura e capace di parlare un italiano perfetto. Amante del rock e delle donne di ogni tipo, basta che siano ben carrozzate”.
I suoi romanzi fanno ridere di cuore il lettore. Come mai questa commistione di generi?
“Io li considero principalmente dei libri umoristici. Non l’ho dichiarato per non alzare la soglia dell’aspettativa. Il divertimento nasce dall’inaspettato”.
Ci sono degli autori a cui si ispira per scrivere i suoi romanzi?
“Tutti gli umoristi inglesi dell’ottocento e del primo novecento. Poi Guareschi, un grande sottovalutato. Sicuramente Stefano Benni. Infine Ettore Borzacchini e Federico Sardelli, che scrivono sul Vernacoliere”. A volte i vecchietti del BarLume ricordano la famigerata miss Marple protagonista dei gialli di Agatha Christie.Condivide?
“Il paragone con lady Agatha mi lusinga. Come miss Marple, i miei personaggi hanno come metodo d’indagine sia il dubbio sia quel cinismo che possono avere solo gli anziani. Hanno vissuto tanto, e sanno che a pensar male si fa peccato, ma ci s’indovina sempre”.

Matteo Leoni

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