Golem. Chagall, storie di ebrei fatti a pennello

Giuseppe Burschtein

17/11/2010

Buona sintesi dell’identità ebraica europea è racchiusa nella vita di Moishe Segal. Colui che in russo diventò Mark Zakharovic Shagalov, che in francese si fece Shagal e passò alla storia come Chagall. Marc Chagall per l’esattezza, pittore. Primo di nove fratelli, nacque a Vitebsk, “shtetl” che oggi si trova in Bielorussia e che nel tempo – destino della geografia continentale – è appartenuto alla Polonia e alla Lituania. Nel 1887, quando “Moishele”, orgoglio di babbo Khatskl Segal, mercante di aringhe affumicate e gioia di mamma Feige-Ita, viene circonciso, Vitebsk è un puntino sulla mappa del grande impero russo. La vita del paese è scandita dai ritmi del lavoro e della preghiera; fra uomini pii e matrone devote; fra cucine che odorano di cipolle che sfrigolano nel grasso d’oca e pesci stufati in agrodolce; tra bagni rituali, chiacchiere e dispute religiose. È questo il mondo che modellerà la pittura di Chagall. Una miscela metafisica di sogno e tradizione popolare, di ricordo e di magia cabalistica. Ventenne, a San Pietroburgo, si divide fra scuole d’arte e riposi forzati imposti agli ebrei dallo Zar nelle imperiali galere. Qui conoscerà Leon Bakst, pittore, scenografo e costumista, che stimolerà la carica visionaria e cromatica dei suoi dipinti e Bella Rosenfeld, che sarebbe diventata grande amore, moglie e musa di molti suoi lavori.
Artista già famoso, sceglie Parigi come destinazione di vita e continua la sua produzione frenetica. Non segue alcun schema. Le sue opere sono fatte di colore e luce, i ritmi visuali delle musiche “chassidiche” prendono la forma imposta dai pennelli; le tradizioni ebraiche, i suoni dello “shofar”, i profumi, le fantasie sono trasferiti e impastati sulla tela; la fragranza sacra e terrena dei giorni di festa riesce ad amalgamarsi con le mescole e gli oli pitturati. È bolscevico durante la rivoluzione russa e Commissario dell’Arte a Vitebsk. Diventa poeta e scrittore, poi giornalista e Archimede letterario. Scampato alla Shoah, si trasferisce in America, poi in Francia. Dipinge, produce, crea. Racconta e colora un secolo di vita ebraica. Muore a 97 anni a Saint-Paul de Vence in Provenza un giorno di primavera, poco dopo Purim, mentre il mare s’indora del primo sole e la lavanda “avviolisce” i campi.

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