07/12/2011
Avner Shalev, il direttore, si girava e si rigirava la penna tra mani con visibile rabbia mentre guardava quella lettera stampata al computer. Inqualificabile? Ignobile? Vergognosa? Quale sarebbe stata la giusta parola per esprimere il senso del profondo sdegno e del dolore per quella missiva recapitata al Centro Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme? Dalle finestre a piano terra, il sole bianco di Israele faceva convergere un fascio di luce su quel documento come un “occhio di bue” sulla scena. Apparentemente una qualsiasi lettera commerciale, sia nello stile della scrittura che nell’impaginazione. In basso a sinistra un mittente: Reiner Hoess, Stati Uniti. In alto, poco sotto la data, l’oggetto: preventivo per la vendita di beni. Nel corpo, un contenuto più agghiacciante che sorprendente: la proposta di cessione di testimonianze appartenute a Rudolf Ferdinand Hoess, comandante del campo di concentramento di Auschwitz e nonno dello scrivente. Nella lettera si citano, con lo stile accattivante delle offerte speciali, alcuni rari oggetti dell’eredità Hoess, tra i quali: una cassa ignifuga del peso di 50 chili regalo del comandante delle SS Himmler con monogramma sbalzato e simboli nazisti vari, alcune diapositive inedite del campo, un tagliacarte, qualche lettera alla famiglia manoscritta. Termina, come tutta la letteratura da piazzisti con un “in attesa di ricevere un vostro cenno di riscontro, inviamo cordiali saluti”. Ma come si era permesso, ripeteva Shalev, mentre la penna continuava a passare di mano in mano di tentare di guadagnare, di fare un affare, con chi aveva subito il genocidio organizzato proprio da quel nonno macellaio? L’idea della lettera, si sarebbe saputo in seguito, è figlia di un singolare incontro fra “nipoti celebri”; ovvero di un suggerimento da parte del discendente di Baldur Von Schirach, capo della “Gioventù hitleriana”. Così il giovane Hoess, responsabile della sicurezza in una grande azienda americana, si sarebbe rivolto a Yad Vashem, dice, per non far cadere gli oggetti in mani sbagliate. Sul perché avesse proposto l’acquisto anziché una ovvia donazione la risposta sarebbe stata ridicola: per fare più in fretta, in fondo per la donazione avrebbe dovuto interpellare tutti i beneficiari dell’eredità. Che forse sono tanti, al contrario dei parenti degli internati di Auschwitz.
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