Golem. Il figlio della Regina di Saba

Giuseppe Burschtein

16/04/2011

L’aeroporto di Tel Aviv, come tutti gli aeroporti, è un grande libro di favole che ogni giorno raccoglie le mille storie dei suoi viaggiatori. Racconti straordinari o comuni ma tutti importanti per i personaggi che ne fanno parte. Il ritardo di un volo, quanto mai frequente in questo pezzo di mondo, diventa un’occasione per sottrarsi alla pila di giornali e agli annunci multilingue per lasciarci scivolare, in uno spazio fuori dal tempo, nel quale due chiacchiere col vicino diventano novelle meravigliose…Credo che imprechi. In ebraico. E non lo capisco. Forse ulula per il ritardo annunciato. I ragazzi sono impazienti in tutto il mondo. Poi si siede e mi guarda. “Di dove sei?” mi dice in inglese quel ragazzino minuto e dalla pelle nera. “Firenze, Italia” rispondo. “E tu?” “Non saprei dirti esattamente dove sono nato, ma dai documenti risulta Tel Aviv”. Il mio “spiegati meglio” ha l’effetto di un pulsante “play”, e mi racconta. “ Era maggio quando i miei genitori lasciarono l’Etiopia. Il ’91 era stato un anno particolarmente caldo e secco anche sull’altipiano di Gonder, dove vivevano e dove il clima era di solito buono. I gerani selvatici che piacciono a mia madre e che danno colore alle sterpaglie erano ormai appassiti. Lei ne conserva uno, messo a seccare fra le pagine di una vecchia Bibbia scritta in amarico. Che è la nostra lingua. Vengo da una famiglia religiosa e siamo sempre stati ebrei. Si dice che discendiamo dalla Regina di Saba e dal Re Salomone. Erano tanti anni che la mia famiglia voleva emigrare in Israele. Per vivere in sicurezza. O meglio per farci vivere in sicurezza. Da molti anni in Etiopia per noi l’aria si era fatta pesante, ci chiamavano “falasha”, quelli senza casa, ma la nostra casa era qui in Israele, “beth Israel”. I miei da un anno e mezzo vivevano in un campo dove si erano raccolti migliaia di ebrei, che alle porte di Addis Abeba, ogni giorno speravano nella “terra promessa”. Mamma rimase incinta e fu una gravidanza preoccupata ma buona. Il 24 maggio, su un Cargo della El-Al, finalmente in volo verso il futuro, c’erano 1200 persone e nacquero 5 bambini. In un fine settimana, attraverso un incredibile ponte aereo, 14mila ebrei etiopi raggiunsero per sempre Israele. L’operazione fu chiamata “Salomone” ed io fui chiamato Kabede che nella mia lingua vuol dire “forte e potente”, ma tutti mi chiamano Kaved come il pilota di quel Jumbo”. Annunciano il nostro volo…si rientra nel mondo.

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