01/11/2011
Cambia, rompe, trasforma. È inarrestabile. Si insinua nelle case, nelle teste e come un fiocco di lievito nella farina fa crescere nuovi pensieri, modifica i processi sociali e spinge a riflessioni inedite. È Internet. Meraviglia per molti, minaccia per altri. L’esempio della Cina e la guerra contro Google calza a pennello. Più si tenta di perimetrare una comunità e di chiuderla, più si percepisce la Rete come un rischio sociale tossico e più che il sistema digitale avanza e trova spazio pur con mille difficoltà. Fra gli Haredi, gli ebrei ultraortodossi di Israele, il problema Internet è particolarmente pressante. Come rappresentanti del gruppo religioso più conservatore dell’ebraismo, vivono in strettissima, anzi esclusiva, osservanza della Torah e delle Scritture sacre e in quel mondo la tecnologia, come ogni altra cosa, deve rispettare le regole della “kasherut” ovvero la coerenza con la legge religiosa ebraica. Va da sé che Internet e il suo sconfinato West elettronico offre scenari incontrollabili che turbano, in particolare, i rabbini più anziani della comunità. E il conflitto ovviamente cresce. I più giovani sebbene rispettino ogni regola, non vogliono rinunciare ad una connessione Internet, mentre i contrari gridano al peccato ad ogni bit trasmesso. Persino i telefoni cellulari che consentono la navigazione sul Web, per avere la certificazione rabbinica indispensabile al pio orecchio dell’Haredi, dovrebbero essere scollegati dal network. Tuonano le somme autorità religiose, rimbombano i rabbini ultraortodossi contro il mezzo bugiardo e abominevole. Sono avvertite perfino le scuole: occhio ai figli di coloro che sono coinvolti nella turpe pratica di Internet. Ma, almeno dalle statistiche dell’operatore telefonico Bezeq, un quarto dei “santi” signori ha già una connessione casalinga ufficiale, e gli altri, si suppone, usino altri operatori. Si diffonde la rete, incontenibile. Come un fiume che esonda, penetra in ogni anfratto non curante di alcun giudizio. Entra e basta, invade. Grazie al cielo.
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